Gli effetti del blocco della contrattazione si fanno sentire. Negli ultimi quattro anni gli stipendi dei dipendenti pubblici sono diminuiti di circa l’1%. Ma nel decennio che ha preceduto lo stop, in vigore dal 2010, si è registrata una crescita del 40%. A fare il punto della situazione nella pubblica amministrazione è l’Aran, l’agenzia che rappresenta il Governo ai tavoli con i sindacati per il pubblico impiego. Il dossier arriva in un momento delicato, visto che il 2016 dovrebbe essere l’anno della riapertura della contrattazione. La legge di Stabilità stanzia delle risorse ma si tratta di un budget ritenuto insufficiente dai sindacati. E il sindacato ora contesta il dato della crescita del 40%. Il segretario generale della Cgil statali, Rossana Dettori, parla «dell’ennesima provocazione. Sono dati che contestiamo, senza alcun significato. Altri dati ci dicono l’esatto contrario sulle dinamiche retributive, soprattutto negli oltre sei anni di blocco della contrattazione». Il rapporto semestrale
Ma l’Aran nel suo rapporto semestrale replica che «al sopraggiungere della lunga crisi, è stato necessario “spegnere il sistema contrattuale” per il timore che lo stesso non possedesse, al suo interno, gli elementi di freno atti a fronteggiare la fase negativa del ciclo economico». Anche perché il +40% di dieci anni precedenti, «per molti versi non correlato a percepibili aumenti di produttività e qualità dei servizi», ha generato una «sfiducia» verso le politiche retributive del settore pubblico.
Il volume dell’Aran ricostruisce gli ultimi quindici anni di retribuzioni, spiegando come ci siano state fase profondamente diverse: i primi anni del Duemila sarebbero stati caratterizzati da una valorizzazione della contrattazione di secondo livello. Il risultato è stato un aumento annuo degli stipendi tra il 4 e il 5%.
Per frenare la tendenza negli anni che sono seguiti al 2006 ci si è attenuti al contratto nazionale, cercando di non andare oltre la parte tabellare, tuttavia ciò non è bastato per stare dentro i limiti della finanza pubblica e a quel punto è scattato il blocco. “E’ stato necessario spegnere il sistema contrattuale”, vista anche, sottolinea l’Agenzia, “la dinamica estremamente sostenuta registrata nel decennio precedente, per molti versi non correlata a visibili e percepibili aumenti della produttività e della qualità dei servizi pubblici”. Ora, aggiunge, “gli effetti di queste politiche sono immediatamente visibili nell’assenza di crescita delle retribuzioni contrattuali” e “negli andamenti negativi delle retribuzioni di fatto”, che comprendono tutte le voci, (-1%). Nel privato invece la crescita tra il 2010 e il 2014 è stata del 6,3%, recuperando così lo svantaggio accumulato nel decennio precedente (quando l’aumento si era fermato al 35%).
Alla vigilia di una riapertura della contrattazione, non può sfuggire l’avvertimento che si legge tra le righe del rapporto dell’Aran: spostare le poste sul secondo livello rischia di elevare di molto i costi, in un contesto, quello del pubblico impiego, dove, almeno finora, non è stato sempre facile riscontrare vantaggi in termini di produttività. Per l’Aran, infatti, occorre “un trade-off tra l’esigenza di una dinamica complessiva dei salari pubblici compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica e di politica economica (da un lato) e l’esigenza di valorizzare, anche nel pubblico, il secondo livello negoziale, destinandovi risorse correlate, in qualche modo, alla produttività ed ai risultati in sede locale (dall’altro)”.
31 dicembre 2015