Le regole sul pubblico impiego si confermano fra le più «mobili» in questa prima fase di costruzione della legge di Stabilità, e anche nel testo arrivato al Quirinale sono molte le novità rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi. Due su tutte: è stato stralciato il «congelamento» della riforma Brunetta, per cui i 300 milioni messi sul piatto dei rinnovi contrattuali (più quelli che Regioni ed enti locali cercheranno di trovare nei loro bilanci) dovranno passare da una trattativa con tutti i crismi che, legge alla mano, dovrà risolvere il rebus della riduzione a quattro dei comparti pubblici e delle tre fasce di merito in cui articolare il personale per distribuire i premi di produttività. La seconda “evoluzione” del testo riguarda il turn over: viene confermata la regola generale del 25%, che permette alla Pa di dedicare a nuove assunzioni un quarto dei risparmi prodotti dalle uscite di quest’anno.
Ma il parametro sale all’80% (cioè alle percentuali già previste per l’anno prossimo dal decreto Madia del 2014) in Regioni ed enti locali per assorbire gli esuberi provinciali.
Accessorio congelato
Ma il sudoku del rinnovo contrattuale deve fare i conti anche con un altro elemento, rappresentato dal blocco dei fondi per il trattamento accessorio per dirigenti e personale, disposto dalla manovra fino all’attuazione della legge Madia sul ruolo unico dei dirigenti e sulla nuova disciplina per i dipendenti. A questo punto, il calendario annunciato dal Governo, che nelle ultime versioni prevede l’approvazione dei decreti attuativi fra dicembre e gennaio, diventa indispensabile per far partire davvero i rinnovi contrattuali. Con i fondi accessori congelati diventa nei fatti impossibile attribuire le nuove risorse: anche ipotizzando di assegnare tutto al tabellare, con il solo obiettivo di adeguare le buste paga alla mini-inflazione dell’ultimo periodo, questo provocherebbe effetti anche sui fondi accessori che finanziano fra l’altro le indennità di turno, notturno e festivo.
L’incognita comparti
Mentre si stanno scrivendo i decreti attuativi della riforma Madia, comunque, rientra a pieno titolo in gioco anche quella targata Brunetta, che dal «primo rinnovo contrattuale successivo», quindi da quello su cui si comincerà ora a trattare dopo lo sblocco imposto dalla Corte costituzionale, impone due passaggi: ridurre a quattro le 12 aree contrattuali in cui è diviso il pubblico impiego, e dividere il personale di ogni ufficio in tre fasce di merito per dare i premi “pieni” ai dipendenti caratterizzati dalle performance più brillanti (25% del totale), bonus più leggeri a quelli in fascia media (50% del personale) e azzerarli per i meno produttivi (l’ultimo 25%).
Per aggirare il problema, che soprattutto per quel che riguarda i comparti incontra resistenze forti sia tra le ammininistrazioni sia tra le sigle sindacali che rischiano di uscire dai tavoli perché non raggiungerebbero più le soglie di rappresentatività, le prime versioni del testo avevano ripescato una norma della Finanziaria 2008 che consentiva una «erogazione anticipata» degli aumenti, da regolare poi con conguagli una volta concluse le trattative per i rinnovi dei contratti. Scegliere questa via (come segnalato su «Il Sole 24 Ore» del 22 ottobre) avrebbe messo sotto al tappeto parecchi problemi, ma sarebbe stato in contraddizione con le parole d’ordine della «meritocrazia» ispiratrici di tutte le ultime riforme e rilanciate ancora ieri dal ministro della Pa, Marianna Madia in un’intervista al «Messaggero».
I fondi
La norma taglia-Brunetta, quindi, è saltata dall’ultimo testo della manovra, e ora la palla ripassa ad Aran (l’agenzia negoziale che rappresenta le Pa come datori di lavoro) e sindacati. Questi ultimi hanno accolto con parecchia freddezza la cifra messa a disposizione della manovra per i rinnovi contrattuali, calcolata dal Governo sulla base della mini-inflazione dell’ultimo periodo perché la Consulta ha “salvato” i vecchi blocchi contrattuali. I 300 milioni (di cui 74 destinati alla Polizia e 7 a magistrati e docenti universitari) riguardano le amministrazioni statali, mentre enti locali e Regioni dovranno finanziarsi da soli i rinnovi, sulla base di criteri che saranno invididuati con decreto: proprio questo provvedimento, che andrà assunto a Palazzo Chigi su proposta del ministero della Pa insieme all’Economia, dovrà indicare come far dialogare questo aumento di costi con i vincoli alle spese di personale, che in particolare negli enti locali (come ha appena ribadito la Corte dei conti nella delibera 27/2015 della sezione delle Autonomie) devono continuare a ridursi in rapporto al totale delle uscite correnti.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 25 ottobre 2015