Dalla Guida del Sole 24 Ore. Arriva un’altra frenata per le possibilità di spesa nel pubblico impiego: nei testi aggiornati del disegno di legge di Stabilità circolati ieri viene fissata una nuova percentuale di turn over, che questa volta riguarda sia la Pa centrale sia quella locale (e gli enti di ricerca) e ferma per il prossimo anno la spesa per le assunzioni al 40% dei risparmi ottenuti con le uscite dell’anno prima. Tutta la misura si concentrerà sui nuovi ingressi, perché anche con le nuove regole del turn over «è fatto salvo il perfezionamento» delle mobilità che dovranno ricollocare il personale in uscita dalle Province. La Pa statale, comunque, dovrà tagliare del 10% il complesso della propria spesa di personale. Si delineano, poi, le richieste che la manovra avanza ai dirigenti pubblici: i fondi per la retribuzione di risultato vengono tagliati del 10% dal 2016, e lo stesso trattamento è riservato alle spese per gli incarichi di collaborazione e alle indennità per gli uffici di diretta collaborazione dei ministeri.
Una sforbiciata del 20%, invece, colpisce un lungo elenco di norme che finanziano i trattamenti accessori. Oltre ai fondi, poi, sono chiamati ad alleggerirsi anche gli organici, dai quali sarà cancellato il 50% dei posti vacanti.
La nuova cura arriva all’interno di un articolo intitolato a «merito e giovani eccellenze nella Pubblica amministrazione», perché chiede a tutte le Pa di aprire una corsia preferenziale, all’interno delle facoltà assunzionali così riscritte, per l’assunzione di 150 nuovi dirigenti attraverso una selezione che sarà gestita dalla Scuola nazionale dell’amministrazione (che viene commissariata in vista di una riorganizzazione per ridurne del 10% i costi). Altri 50 nuovi ingressi sono previsti fra prefetti e diplomatici e 20 per rinforzare avvocatura e procuratori dello Stato. Per provare a far ripartire i contratti nonostante la mini-dote da 200 milioni, invece, la manovra ri-congela la riforma Brunetta.
Per il rinnovo dei contratti una mini-dote di 200 milioni. Niente fasce di merito
Con una dote iniziale da 200 milioni di euro la macchina dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego difficilmente potrà fare molta strada. A certificarlo è la reazione da parte dei sindacati che, in coro, hanno protestato contro una cifra largamente inferiore alle loro attese e hanno annunciato varie forme di mobilitazione nei prossimi giorni. Duecento milioni valgono circa il 2 per mille della massa salariale del pubblico impiego (escluse Regioni e autonomie locali, chiamate a pagarsi i costi del rinnovo), per cui si tradurrebbero in aumenti mensili lordi che nei ministeri oscillano intorno ai sei euro. Nel tentativo di far comunque partire la trattativa, la manovra prova a sgombrare il campo da uno degli ostacoli alzati dall’obbligo di iniziare ad applicare la riforma Brunetta. La pubblica amministrazione dovrebbe infatti riunirsi in quattro maxi-comparti, rimescolando i confini attuali soprattutto nell’ambito dell’amministrazione centrale divisa fra ministeri, enti pubblici (Inps, Aci e così via), presidenza del Consiglio e agenzie fiscali.
La riforma della geografia contrattuale escluderebbe dai tavoli delle trattative una serie di sigle sindacali, che oggi raggiungono le soglie minime per la rappresentatività (media del 5% tra iscritti e voti nelle Rsu) solo grazie alle dimensioni più ridotte delle basi di calcolo rappresentate dai comparti attuali. Per aggirare l’ostacolo, le bozze di manovra circolate finora resuscitano una regola della Finanziaria per il 2009 che permette di attribuire le somme in busta paga in via transitoria anche senza l’accordo con i sindacati (l’articolo 2, comma 35 della legge 203/2008 parla di erogazione «sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative»). La mossa servirebbe anche a evitare il secondo problema posto dalla riforma Brunetta, che imporrebbe di istituire in ogni amministrazione le tre fasce di merito per graduare il peso dei premi: impresa difficile in generale, e quasi impossibile con pochi euro lordi a testa sul piatto.
In Regioni ed enti locali, invece, il rinnovo peserebbe sui bilanci delle singole amministrazioni, che dovrebbero farlo rientrare nei vincoli alla spesa di personale. (Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore)
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18 ottobre 2015