Isidoro Trovato – CorrierEconomia. La proposta è di quelle scioccanti: anticipare in busta paga il Tfr per aumentare il potere d’acquisto del ceto medio. Da quando il premier Matteo Renzi ha ventilato l’eventualità di stravolgere il ruolo storico e sociale della «liquidazione», si è scatenato il dibattito sul tema.
La Fondazione studi dei consulenti del lavoro, professionisti pienamente coinvolti in questa riforma, ha elaborato una serie di dati attraverso i quali proviamo a spiegare meglio lo scenario su che cosa potrà accadere qualora questa riforma diventasse realtà.
Il bacino
In Italia ci sono circa 12 milioni di lavoratori nel settore privato e oltre 3 milioni di lavoratori pubblici. In base alle prime indiscrezioni l’anticipo del Tfr dovrebbe riguardare esclusivamente i lavoratori del settore privato. Questo significa che «la liquidazione» che matura ogni anno (e di cui tener conto) è di circa 21 miliardi e mezzo. A essere interessati all’eventuale riforma sono solo i lavoratori assunti nelle aziende con meno di 50 dipendenti perché per le imprese aziende oltre i 50 dipendenti il Tfr rimasto in azienda è destinato al Fondo di Tesoreria Inps e diventa intoccabile (salvo modifiche).
In busta ogni mese
Già in passato pochi imprenditori hanno preferito versare il trattamento di fine rapporto in busta paga, anticipando di fatto la scelta del governo di cui si sta discutendo. In questi casi, i giudici hanno stabilito il principio che l’erogazione mensile cambia la natura della retribuzione poiché diventa ordinaria e non «speciale». Quindi questo significa che automaticamente, in base ai principi generali dell’ordinamento, le aziende devono pagarci i contributi e i lavoratori devono pagare le imposte ordinarie e non più agevolato. «Qualora si volesse conservare l’esenzione contributiva e fiscale — spiega Marina Calderone, presidente dei consulenti del lavoro — va valutato se questa esenzione non debba avere una copertura finanziaria».
Ma a quanto ammonta la somma del Tfr che sarebbe disponibile nelle buste paga dei lavoratori? Dalle proiezioni effettuate dai consulenti del lavoro questa iniziativa legislativa metterebbe a disposizione dei lavoratori (con stipendio di circa 1.500 euro) circa 50 euro mese (ipotesi di Tfr erogato al 50%), circa 62 euro (ipotesi di Tfr erogato al 75%) e circa 82 euro (ipotesi di Tfr erogato al 100%). La somma può variare di pochi euro in eccesso (circa 5) nel caso in cui venisse conservato il regime fiscale agevolato oggi previsto.
Positivo o negativo?
Da un’indagine effettuata all’interno delle microimprese è emerso che i piccoli imprenditori hanno interesse a liquidare il Tfr per creare un buon clima aziendale e per evitare di dover accantonare somme che poi si ritrovano a dover corrispondere in sede di cessazione del rapporto di lavoro e che sono consistenti rispetto al loro volume di affari.
«Resta però il fatto che non si tratta di un vero aumento delle retribuzioni ma solo di un finanziamento che i lavoratori fanno a se stessi, anticipando il godimento di indennità future — commenta Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del lavoro —. In nome però di una iniezione di denaro immediata, si rischia di compromettere pesantemente gli equilibri pensionistici e, soprattutto, di condannare le generazioni di futuri pensionati a una grama esistenza».
CorriereEconomia – 6 ottobre 2014