Paolo Baroni. L’ultima campanella d’allarme è scattata a fine marzo quando l’Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, ha reso noto l’andamento della spesa farmaceutica: nei primi 11 mesi del 2015 questa voce della sanità è crescita di ben 1 miliardo e 800 milioni oltre il dovuto. Colpa soprattutto della fascia «H», ovvero dei farmaci utilizzati negli ospedali che nel loro complesso generano da soli un «buco» di 1,6 miliardi. Una voce di spesa letteralmente fuori controllo, insomma, se si considera che già l’anno prima era andata in rosso per un miliardo.
Il limite
La legge fissa per i farmaci un tetto di spesa pari al 14,85% del totale del Fondo sanitario nazionale (Fsn). L’11,35% è attribuito alla spesa territoriale, quella per intenderci per passa attraverso i medici di famiglia, ed il restante 3,5% alla spesa ospedaliera. Ebbene, nei primi 11 mesi del 2015, il totale dei costi anziché fermarsi a 14,95 miliardi ha toccato quota 16,8. Nel primo caso si è infatti arrivati all’11,64% del Fsn (con uno squilibrio di 288 milioni di euro) e nel secondo al 5,06%, con uno sbilancio di 1,6 miliardi. E così anziché i 3,6 miliardi previsti le 20 Regioni italiane sono arrivate a spenderne 5,2. E sette di loro (vedere grafico) hanno prodotto i 2/3 del buco: in testa la Toscana con uno sbilancio di 219 milioni, a seguire Lombardia (-207), Campania (-150), Puglia (-149,4), Lazio (-126), Emilia Romagna (-118) e Sicilia (-106,3).
I vincoli
Il governo, reduce dal tira e molla dell’ultima legge di Stabilità, che ha fissato l’asticella totale della spesa sanitaria 2016 a 111 miliardi contro i 113 previsto dal Patto sulla salute siglato precedentemente con le Regioni, ovviamente non può permettersi uno squilibrio di questa entità. Anche se in realtà i costi in più devono essere ripianati al 50% ciascuno dalle Regioni e dalle industrie del farmaco. Poco importa, perché anche la voce «Sanità», la seconda per importanza dopo le pensioni, come tutte le altre del bilancio statale, deve sottostare alle regole sempre più rigide che regolano i conti pubblici. In base all’ultimo Documento di economia e finanza presentato ad aprile la spesa sanitaria nel suo complesso tra il 2016 ed il 2019 dovrà crescere in termini reali circa la metà del Pil, ovvero dell’1,5% all’anno contro il 2,8: +0,9% nel 2016, +1,2% nel 2017 e nel 2018 e +2% nel 2019, con una incidenza rispetto al Prodotto interno destinata a scendere dal 6,8% di quest’anno al 6,5% del 2019. In pratica dai 113,3 miliardi di quest’anno si salirà a 114,8 il prossimo, a 116,1 nel 2018 e a 118,5 l’anno seguente.
E’ chiaro che in un modo o nell’altro anche la spesa farmaceutica, che nel complesso rappresenta circa un terzo della spesa per beni intermedi nel campo della sanità, va messa sotto controllo. Quella convenzionata, per effetto di un significativo aumento dei ticket (+1,3% sul 2014) e della compartecipazione da parte dei cittadini è sostanzialmente in equilibrio. Al contrario della fascia «H». Problema tutt’altro che facile da risolvere, però. «Il problema è che il tetto dell’ospedaliera è sottodimensionato e non si riesce a gestire, perché su questo fronte si concentra tutto l’impatto dell’innovazione ed i drammi etici di certe scelte sui malati terminali», ha spiegato giorni fa durante un convegno promosso da Astrid il sottosegretario alla Presidenza Claudio De Vincenti.
Il tavolo a palazzo Chigi
Le ipotesi allo studio, finite sul tavolo del governo sono tante: si ragiona su forme di rimborso condizionate alla reale efficacia dei prodotti una volta somministrati ai pazienti, sull’istituzione di un fondo specifico per i farmaci innovativi (come caldeggia il ministro Lorenzin), ma anche della possibilità di modificare il meccanismo del payback con cui le industrie si fanno carico di una parte delle maggiori spese e rifonde le Regioni. E poi ci sono le proposte delle Regioni stesse, che saranno discusse giovedì a palazzo Chigi durante un nuova riunione del tavolo-sanità, e che prevedono aste competitive e rimborsi ridotti. Quello che è certo è che il governo non intende toccare il tetto della farmaceutica territoriale. Per De Vincenti «il tetto unico sarebbe un errore», perché le due dinamiche (spesa territoriale e ospedaliera) sono profondamente diverse e quella territoriale, grazie all’intermediazione dei medici, tiene. Per cui non è proprio il caso di metterla in discussione.
La Stampa – 24 maggio 2016