Lo spaccato dell’Italia in lite: le storie paradossali nel libro scritto da un viceprocuratore
Un vassoio di agnolotti spiega più di mille saggi. Per salvare la giustizia occorre abolire un mucchio di reati minori (da sostituire con multe) e colpire con durezza implacabile i colpevoli di un reato gravissimo: la denuncia cretina. Che intasa i tribunali. Come appunto quella di un tizio che ha querelato la nuora perché gli agnolotti non erano fatti secondo la tradizione familiare. L’episodio è raccontato nel libro Precari (fuori)legge curato da Paola Bellone.
Paola Bellone è una «Vpo» che insieme con altri Vice procuratori onorari (questo significa la sigla) ha raccolto decine di casi che dimostrano come buona parte del peso della nostra elefantiaca giustizia gravi sulle spalle appunto di questi magistrati «provvisori» e aggiunti. E soprattutto come tra le malattie del nostro sistema sia l’ottusità con cui la legge bolla come reato penale che il pescivendolo metta sul tonno il cartello «tonno» e non «Thunnus tynnus». O un’interpretazione abnorme e cancerosa del diritto di ogni cittadino di rivolgersi alla magistratura anche per i motivi più minuti e ridicoli senza poi dovere rispondere dei danni (tempo perso, pratiche burocratiche, raccomandate postali…) causati alla giustizia distratta dalle cose serie.
Sia chiaro, molti dei processi affidati ai 1.920 Giudici Onorari di Tribunali (Got) e ai 1.691 «Vpo», sono su temi serissimi. Anzi, in certi casi (come le denunce di tante donne contro mariti, fidanzati o corteggiatori violenti che a volte finiscono poi per ammazzare le poverette) viene da chiedersi fino a che punto la giustizia possa essere affidata a magistrati «precari» che per metà fanno anche un altro lavoro e prendono fino a 1.600 euro al mese e sono pagati a cottimo in base a quanto producono e non hanno né ferie né maternità. E più ancora come sia possibile che questi «onorari» assunti «provvisoriamente» per tre anni «prorogabili una sola volta» nel lontano 1998 (e da allora prorogati di anno in anno) si facciano carico del 97% dei processi davanti ai giudici monocratici. Un rattoppo incessantemente ricucito sullo sbrego. Senza una riforma degna di chiamarsi tale.
Ma oltre alle cose serie, nel campionario c’è davvero di tutto. La donna che guida di notte ubriaca fradicia con accanto un enorme peluche. Il tutore della morale che denuncia: «Su entrambi i lati della strada due donne mostravano, una le grandi tette, una il gran culo. Avrei voluto valutare meglio le misure della maggiorata ma una violenta tirata d’orecchie mi ha fatto desistere. Mia moglie non era d’accordo». Il processo al «piccionicida» reo d’aver ucciso un colombo e alla domestica accusata d’aver avvelenato l’anziana paralitica Carlotta: «Chi avesse assistito senza sapere che Carlotta era un cane, avrebbe
pensato che si procedesse per omicidio».
E poi i procedimenti interminabili contro un padre che non vuol pagare gli alimenti e dichiara che «avrebbe preferito mantenere tutti i bambini della Bielorussia piuttosto che versare qualcosa per la propria prole». E il processo a un impiegato autore di questa lettera: «Penso che nonostante le risorse finanziarie aziendali siano in rosso possiate permettervi di comperare delle gomme da masticare per la signorina S.R. Quando si entra in quell’ufficio viene da svenire. Ha un alito da fogna e questo non aiuta certo il rapporto con i clienti».
È lo spaccato di un’Italia in lite perenne. Popolata da figure ridicole e orrende. Il padrone d’una fabbrichetta che versa lo stipendio alla dipendente che l’ha respinto con la causale «saldo prestazioni sessuali mese di…». La padrona del centro estetico che attacca le unghie finte con l’attak e minaccia la cliente «ti mando il mio fidanzato sotto casa». La belloccia che rifiuta i suoi dati al vigile che vuol multarla per l’auto in seconda fila: «Poi ti vengono i ghiribizzi e mi telefoni durante la notte, ma la mia bigioia non fa le ragnatele stronzo, io ho tutti gli uomini che voglio, cretino». Il ladro pirla che passa alle rapine ma non ha la pistola e «acquistava al mercato una banana giocattolo in plastica, l’avvolgeva con nastro adesivo nero e applicava in punta un tondino di metallo per simulare il mirino» col risultato che in banca «ingenerò il terrore dovuto nei presenti, ma dopo pochi istanti il silenzio fu rotto dalle risate generali» e lui fu riempito di botte.
E poi ecco i ragazzi denunciati perché giocavano nel campetto d’una scuola («arbitrariamente invadevano terreno pubblico per trarne profitto») contendendosi «n. 1 pallone in cuoio di colore bianco e nero con apposita scritta Diadora in colore verde; in stato d’uso deteriorato e rotto in un punto dal quale fuoriesce un pezzo di camera d’aria di colore nero». E il nigeriano che al posto del permesso di soggiorno dà agli agenti il facsimile avuto da un prete: «Ministero del Regno di Dio, Amministrazione della Pubblica Giustizia, Dipartimento della Pubblica Accoglienza». O ancora, appunto, la denuncia della nuora per gli agnolotti fatti senza seguire la tradizione.
Certo, in quello come in tanti altri casi (l’allora Procuratore Marcello Maddalena ancora ride ricordando la denuncia contro Byron Moreno, l’arbitro ecuadoregno che ci fece uscire ai mondiali in Corea) il giudice ha archiviato. Ma la procedura è un delirio. Anche la denuncia più assurda dev’essere registrata da un poliziotto (che deve girarla alla Procura) o depositata all’ufficio giudiziario apposito e protocollata. Dopo di che un procuratore deve leggerla, pesarla, iscriverla nel «modello 45» (nome, indirizzo dei protagonisti, riassunto dei fatti…) e decidere cosa farne. Anche decidesse di archiviarla per manifesta demenza, deve avvertire il querelante con raccomandata e ricevuta di ritorno per permettergli di fare ricorso. Finché il Gip deve decidere cosa farne ed eventualmente motivare l’archiviazione che va protocollata… Sperando che non finisca tutto in Cassazione…
Domanda: perché non fissare sanzioni esemplari (tipo una multa di 5000 euro) per chi sottrae tempo prezioso ai magistrati costringendoli a occuparsi di inezie manifestamente insulse o secondarie? Con tutti i problemi che abbiamo, è mai possibile che i carabinieri debbano occuparsi del furto di un anatroccolo e del suo riconoscimento? Leggiamo il verbale di una pattuglia che aveva riportato il rapito al padrone della nidiata: «Alla vista di altri simili coetanei, l’anatroccolo vi entrava gridando e festoso, mentre gli altri gli facevano festa. L’anatra madre non si scagliò contro l’anatroccolo, cosa che avrebbe fatto qualora l’anatroccolo fosse stato estraneo…».
Gian Antonio Stella – Corriere della Sera – 21 maggio 2013