Un posticipo da luglio al 1° agosto della finestra d’uscita per tutti gli statali in possesso dei requisiti per “quota 100” al momento dell’entrata in vigore delle nuove regole. Una clausola salva-spesa sulle uscite anticipate, espressamente chiesta dalla Ragioneria generale dello Stato, con un monitoraggio Inps bimestrale per il 2019 e trimestrale per gli anni successivi sulle domande di pensionamento accolte, e la possibilità di tagli compensativi al budget del ministero del Lavoro in caso di sforamenti. La possibilità, per i dipendenti pubblici, di anticipare il Tfs fino a un massimo di 30mila euro facendo leva su un prestito bancario collegato a convenzione tra i ministeri dell’Economia e Lavoro e l’Abi, con interessi per il 95% a carico dello Stato. L’esplicito stop all’adeguamento alla speranza di vita delle nuove pensioni d’anzianità. E l’attribuzione della pensione di cittadinanza ai nuclei composti da uno o più componenti con almeno 67 anni d’età e non più 65 come originariamente previsto. Vai al comunicato del Consiglio dei ministri. LE SLIDES – IL VIDEO DELLA CONFERENZA STAMPA
Sono queste le principali novità contenute nella versione d’ingresso del maxi-decreto su pensioni e reddito di cittadinanza che, dopo un vertice mattutino tra il premier Conte e i vice-premier Di Maio e Salvini, e un supplemento d’istruttoria tecnica, è stato varato dal Consiglio dei ministri. Dopo non poche tensioni nella maggioranza, ultime in ordine cronologico quelle sul rafforzamento della dote per gli assegni di disabilità (chiesto dalla Lega), sull’anticipo del Tfs agli statali e sulle clausole “salva-spesa”, l’ok collegiale del Governo è arrivato.
Con Matteo Salvini e Luigi Di Maio che non hanno nascosto la loro soddisfazione. Reddito di cittadinanza, con contestuale addio al Reddito di inclusione (Rei) che però continuerà ad essere percepito per tutta la sua durata da chi ne beneficia, e “quota 100” diventeranno pienamente operativi da aprile. Così come le pensioni di cittadinanza, ovvero l’adeguamento delle “minime” per il quale si terrà conto anche della componente “affitto” che non potrà superare i 1.800 euro l’anno. Con una novità dell’ultima ora: gli adeguamenti saranno corrisposti, con il meccanismo del reddito di cittadinanza, ai nuclei familiari in cui sono presenti uno o più soggetti con un’età pari a almeno 67 anni (e non più 65), adeguata alla speranza di vita. In conferenza stampa il vicepremier Di Maio, sul punto, s’è limitato a ribadire che la platea di beneficiari è di 500mila pensionati.
La sperimentazione di “quota 100” nel prossimo triennio è stata confermata nel mix di 62 anni d’età e 38 di contributi. La prima finestra per i dipendenti privati e gli autonomi si aprirà ad aprile mentre gli statali potranno uscire, in prima applicazione della norma, solo dal 1° agosto e soltanto se in possesso dei requisiti al momento dell’entrata in vigore del decreto.
Gli altri dipendenti pubblici dovranno prendere a riferimento il meccanismo di uscite semestrali, che prevede un preavviso di sei mesi all’amministrazione di appartenenza e una finestra mobile che farà decorrere la pensione sei mesi dopo la certificazione Inps.
Per tutti gli statali che andranno in pensione da quest’anno, come si diceva, scatta l’operazione “Tfs/Tfr anticipato”, con il vicepremier Salvini e la ministra Giulia Bongiorno che puntano già a far salire la soglia dei 30mila euro a 40-45mila durante l’esame parlamentare del decreto. Che potrebbe arrivare in Gazzetta Ufficiale già domani o entro lunedì.
Il decreto proroga di un anno anche l’Ape sociale ed estende Opzione donna, ovvero la possibilità per le lavoratrici in possesso di almeno 35 anni di versamenti di uscire anticipatamente, con il ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo, a 58 anni se dipendenti e 59 anni se autonome. Confermato poi a 41 anni il requisito di pensionamento anticipato per i “precoci” (con almeno un anno di contributi prima dei 19 anni), e a 42 anni e 10 mesi (41 e 10 mesi se donne) per l’anticipo versione Fornero, con la “finestra” di tre mesi.
Dalla sperimentazione “quota 100” sono esclusi i dipendenti del comparto sicurezza e difesa e i lavoratori che hanno attivato una procedura di isopensione.
Per incentivare nuove assunzioni è poi confermata la possibilità di finanziare un assegno straordinario fino a tre anni prima (dunque ai 59enni con 35 di contributi) per uscire dal lavoro in cambio di una nuova assunzione; l’onere sarà deducibile per le aziende. Sempre in via sperimentale fino al 2021 è poi prevista la possibilità di riscatto dei periodi non coperti da contribuzione successivi al 1996:si potrà recuperare fino a 5 anni con un massimo di 60 rate e oneri detraibili (deducibili se paga l’azienda) con in più una agevolazione per il riscatto laurea per gli under 45. Nel decreto è confermata anche la norma sulla governance di Inps e Inail, con il ripristino dei Cda e la possibilità di commissariamento alla scadenza del presidente uscente Tito Boeri.
Quota 100 e 62 anni di età: la pensione si riduce del 25%. Le prime proiezioni. La diminuzione è misurata rispetto all’importo che spetterebbe con la vecchiaia: pesano gli anni non lavorati e la penalizzazione per l’età
Utilizzare quota 100 – almeno 62 anni di età e 38 di contributi – per andare in pensione cinque anni prima rispetto al trattamento di vecchiaia comporta un taglio di circa un quarto dell’assegno previdenziale lordo. Se si sceglie una delle possibili soluzioni intermedie – per esempio, se si va in pensione sfruttando sempre quota 100, ma a 64 anni di età – il taglio è sensibilmente inferiore e oscilla tra il 12 e il 16% negli esempi che Aon ha elaborato per Il Sole 24 Ore. Sono stati considerati sei lavoratori, tutti con prima iscrizione all’Inps all’età di 24 anni e differenti carriere che determinano retribuzioni annue lorde all’età di 62 anni comprese tra 30mila e 150mila euro, rappresentativa di diverse categorie contrattuali (impiegato, funzionario, manager).
Decidere di smettere di lavorare a 62 anni, quindi con i due requisiti minimi di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi), comporta la rinuncia al 22% della pensione, a fronte di un’ultima retribuzione annuale di 30mila euro rispetto a quanto si incasserebbe accedendo al pensionamento di vecchiaia a 67 anni di età; si sale al 28% se la retribuzione è di 150mila euro.
Ciò è dovuto al fatto che da 62 a 67 anni, continuando a lavorare, si aumenta il montante contributivo e inoltre, al momento del pensionamento, si beneficia di un coefficiente di trasformazione più vantaggioso. Per effetto della riforma previdenziale del 2011, a prescindere dal sistema di calcolo a cui si è soggetti (ex retributivo, misto, contributivo), i contributi versati dal 2012 sono convertiti in pensione in base al sistema contributivo, che premia la maggiore età e l’ammontare del montante accumulato. Oltre a ciò, un certo impatto è prodotto anche dall’eventuale incremento delle retribuzioni percepite dopo i 62 anni.
Soprattutto chi ha redditi bassi, dunque, deve soppesare adeguatamente se sfruttare quota 100: potrebbe rischiare di avere un assegno previdenziale insufficiente o comunque non adeguato al tenore di vita mantenuto durante gli anni di lavoro. Questo “rischio” viene evidenziato dai tassi di sostituzione (cioè il rapporto tra la prima rata di pensione annua lorda maturata e l’ultima retribuzione annua lorda percepita) pubblicati a fianco. Variano da circa il 60% per i profili di carriera meno dinamici, a circa il 40% per quelli più brillanti. Proseguendo l’attività fino a 67 anni, invece, la pensione lorda sarà pari al 50-70% dell’ultima retribuzione.
IL SOLE 24 ORE