La spesa sanitaria in prevenzione dell’Italia: una questione aperta. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Salute, la spesa destinata al primo livello di assistenza, che comprende, tra le altre, le attività di prevenzione rivolte alla persona, quali vaccinazioni e screening, la tutela della collettività e dei singoli dai rischi sanitari negli ambienti di vita e dai rischi infortunistici e sanitari connessi con gli ambienti di lavoro, la sanità pubblica veterinaria e la tutela igienicosanitaria degli alimenti, si attesta al 4,2% della spesa sanitaria, contro il livello fissato nel Patto per la Salute 2010-2012 del 5%. Il dato risulta essere molto diverso da quello pubblicato dall’Ocse, per cui l’Italia si posizionerebbe all’ultimo posto tra i Paesi europei per quota di spesa sanitaria destinata alla prevenzione, con appena lo 0,5%. I dati nel VIII rapporto Meridiano Sanità presentato ieri
Alla sanità veterinaria a livello nazionale andrebbe circa il 23% degli investimenti riservati all’area della prevenzione. In Veneto la spesa destinata alla prevenzione si attesta ben al di sotto del 4%: è una delle Regioni, infatti, che riserva a questo tipo di assistenza i minori investimenti. SE ne desume che calino proporzionalmente anche le risorse destinate ai servizi veterinari.
A livello nazionale, si osserva come la spesa in prevenzione destinata alle attività di prevenzione rivolte alla persona sia la voce cresciuta maggiormente nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011. I cali principali si registrano invece nelle aree igiene e sanità pubblica e sanità pubblica veterinaria. Nel 2011, la totalità delle ASL è dotata del Dipartimento di Prevenzione. La spesa complessiva in assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro si attesta a 4,9 miliardi di euro ovvero 81,5 euro pro capite. A livello regionale, la quota di spesa sanitaria destinata alla prevenzione pro capite, varia da una quota di 60,4 euro (2,6% della spesa sanitaria totale) del Friuli Venezia Giulia ai 139,4 della Valle d’Aosta (5,6% della spesa sanitaria totale). Sia a livello nazionale che a livello regionale permane una certa distanza con la soglia del 5% stabilita dal Patto della Salute 2010-2012, attivo anche lungo l’arco del 2013. Il raggiungimento della soglia stabilita del 5% implicherebbe un aumento della spesa destinata in assistenza sanitaria collettiva di circa 937 milioni di euro.
Regioni come Lombardia, Liguria e Puglia, sebbene con intensità diversa in termini di valori assoluti, investono in attività di prevenzione destinate alla persona una quota superiore alla media nazionale che si attesta al 20%.
La Regione Valle d’Aosta è quella che presenta la quota di spesa sanitaria destinata alla prevenzione più elevata in Italia, 5,6% contro il 4,2% della media nazionale. Si evidenzia che quasi la metà dei fondi (42,7%) sono destinati alla sanità pubblica veterinaria. Piemonte e Marche sono le regioni che allocano meno fondi alle attività di prevenzione rivolte alla persona e in generale mostrano una scelta di allocazione della spesa in prevenzione molto simile.
Solo puntando su prevenzione, innovazione e sostenibilità si potrà affrontare la crescita della spesa e salvaguardare il Ssn. No a nuovi tagli, più investimenti e diversa allocazione delle risorse. Ecco alcune delle proposte entro cui lavorare per rendere sostenibile il Ssn anche in futuro senza limitare l’assistenza ai cittadini di Meridiano Sanità lanciate ieri durante la presentazione dell’ottavo Forum organizzato da The European House-Ambrosetti.
Ad aprire l’assise e a gettare le basi della giornata ci ha pensato Valerio De Molli Ad di The European House-Ambrosetti con responsabilità dell’Area Scenari e Strategie che ha subito presentato un corollario di numeri atti a far entrare la platea nel clima del dibattito.
“In confronto alle principali economie europee, le cosiddette UE Big5 (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna), il nostro Paese è quello che presenta il rapporto debito/PIL più alto (126,9%) e allo stesso tempo le stime di crescita sono preoccupanti (+0,7% nel 2014, davanti solo alla Spagna con lo 0,2%). E a farne le spese sono soprattutto le famiglie italiane: la ricchezza media è tornata infatti ai livelli di dieci anni fa. Rispetto al campione UE Big5, il nostro Paese è il fanalino di coda con 21.623 euro di PIL pro capite rispetto ad esempio alla Germania dove il dato si attesta a 28.834 euro nel 2013 (+33%)”.
Per De Molli poi in questo contesto si “inserisce una spesa sanitaria pubblica sensibilmente inferiore rispetto agli altri Paesi (7,1% del PIL rispetto alla media UE-15 del 7,7%), cresciuta del 3,3% tra il 2000 e il 2007 (rispetto alla media UE-15 del 4,4%) e addirittura calata dello 0,4% all’anno tra il 2008 e il 2011. Solo per fare un esempio, a livello pro capite, in termini di spesa sanitaria pubblica l’Italia oggi spende 752 euro in meno rispetto alla Germania (che tradotto in percentuale significa – 43%) e il gap è destinato ad aumentare (928 euro in meno nel 2018) se le condizioni rimarranno inalterate”.
Fatta la dovuta premessa numerica De Molli ha evidenziato come i “nuovi bisogni di salute e progressi della medicina richiedono maggiori investimenti per il futuro”. E ha fornito anche delle stime che parlano di una spesa sanitaria nel 2050 al 9,5% del Pil a quota 255 miliardi. Spesa che potrebbe crescere ancora fino al 10% del Pil nell’ipotesi di una variazione del quadro epidemiologico sul diabete e sull’obesità. “Assistiamo ad un cambiamento nello scenario demografico ed epidemiologico: negli ultimi 20 anni l’aspettativa di vita alla nascita per gli uomini è passata da 74 a 80 anni mentre per le donne è passata da 80 a 85 anni e il 76,4% della popolazione maggiore di 65 anni è affetto da almeno una malattia cronica”. Per De Molli, infine, se questo è il quadro presente e futuro “non sono possibili nuovi tagli”.
A seguire ha preso la parola Americo Cicchetti, professore di Organizzazione aziendale alla Facoltà di Economia della Cattolica che è entrato più nello specifico illustrando due approcci metodologici organizzativi che potrebbero rappresentare una valida via d’uscita dall’impasse in cui versa il comparto: il ‘lean management’ e l’’health pathway design’ (Hpd).
Il “lean management” rappresenta una metodologia volta a identificare opportunità di miglioramento continuo attraverso l’eliminazione di attività – all’interno di un processo – che non generano valore aggiunto per il cliente. Insomma è una sistema che si basa sulla riduzione degli sprechi a 360 gradi. Per la serie: “In sanità, tutto ciò che serve per trattare il paziente (che corrisponde al “cliente”) ha valore aggiunto; tutto il resto è spreco”. Questo approccio si basa fondamentalmente su cinque punti base: identificazione del valore dal punto di vista del cliente, analisi e mappatura del flusso di valore; sviluppo di un flusso che accompagna il cliente a ogni tappa del processo; utilizzo di tecniche “pull”; perfezionamento continuo del processo.
Ma quali sono gli sprechi individuati dal modello? Essi sono otto: lavorazioni superflue; rilavorazioni per via di errori nei documenti; sovrapproduzione; trasporto superfluo di persone; trasporto superfluo di materiali o merci; tempi di attesa troppo lunghi; scarsa gestione del magazzino; competenze male impiegate.
Ma nel suo intervento Cicchetti ha anche parlato di risorse e di come esse debbano essere allocate diversamente. E per farlo ha descritto il cosiddetto modello di health pathway design (Hpd). Un approccio che si basa sulla visione integrata del paziente e dei suoi bisogni di salute. L’Hpd, in sostanza, massimizza la costo-efficacia dell’intero percorso e non della singola tecnologia o prestazione. Nella logica di questo modello, il finanziamento della sanità si basa sul costo del trattamento nel suo complesso e non sulla scomposizione delle sue prestazioni. E per meglio illustrare il metodo Cicchetti ha fatto l’esempio dell’Asl Cuneo 2 di Alba-Bra della Regione Piemonte, per il percorso diagnostico-terapeutico assistenziale dei pazienti diabetici.
Ma non solo numeri e organizzazione, il Forum è stata anche l’occasione per parlare di prevenzione. Compito in cui si è districato Carlo Signorelli, Vicepresidente della Società Italiana di Igiene (Siti) che ha specificato come “la prevenzione raramente porta risparmi nel breve periodo (cost-saving) mentre molte iniziative sono cost-effectiveness ma impegnano risorse. Da qui l’importanza di privilegiare quelle a provata evidenza scientifica. Inoltre i bisogni di prevenzione non si traducono sempre in domanda e il successo interventi non dipende solo dalle scelte “politiche”, ma anche dai diversi stakeholder e dalla capacità dei cittadini di divenire parte attiva come nel caso delle patologie cardiovascolari dove i risultati si possono ottenere incidendo su abitudini dietetiche, attività motoria e diagnosi precoce dell’ipertensione”.
La spesa complessiva per le attività di prevenzione ha sfiorato nel 2011 i 5 miliardi di euro, corrispondente al 4,2% della spesa sanitaria nazionale, contro il livello fissato nel Patto per la Salute 2010-2012 del 5%. A livello regionale, la quota di spesa sanitaria destinata alla prevenzione, varia da una quota pro-capite di 60,4 euro (2,6% della spesa sanitaria totale) del Friuli Venezia Giulia ai 139,4 euro della Valle d’Aosta (5,6% della spesa sanitaria totale) con evidenti variazioni complessive.
Nella seconda parte della mattinata si è svolta una tavola rotonda aperta dal Federico Spandonaro professore di Economia e Management sanitario dell’Università di Tor Vergata che ha tracciato un quadro tutto sommato positivo del nostro Ssn: “È un sistema che si è dimostrato efficace. Spendiamo meno e abbiamo buoni risultati di salute. Ma malgrado ciò bisogna stare attenti all’outcome che scegliamo (sulla customer satisfaction siamo tra gli ultimi in Europa per esempio)”. Se per Spandonaro il Ssn più o meno funziona il dato critico è da ricercare “nei pochi investimenti che si fanno, soprattutto nel pubblico e sulla necessità di allocare meglio le risorse”. Sull’invecchiamento che potrebbe portarci ad una spesa incontrollabile Spandonaro è invece più prudente: “S’invecchia meglio rispetto al passato e molti problemi sono dati dalle epidemie del benessere”. Il professore di Tor Vergata ha poi specificato come vada “rivisto il sistema delle esenzioni” e poi ha lanciato un dubbio: “Ma basta riallocare la spesa o servono risorse aggiuntive?”.
Domanda dirimente a cui ha cercato di rispondere il governatore dell’Abruzzo Gianni Chiodi che nel corso del suo intervento, oltre a ripercorrere il cammino virtuoso (e difficile) che ha portato la sua Regione ha registrare un avanzo nei conti, ha specificato come ci sia “bisogno di riqualificare la spesa” (ci sono ancora margini per ridurre sprechi senza tagliare servizi). Sulle risorse aggiuntive Chiodi è chiaro: “Dipende dalle decisioni che si prenderanno sui Lea. Il sistema è in grado di sostenersi ma la spesa è strategica e in un contesto di risorse pubbliche che scendono dovremo fare delle scelte, anche drammatiche”. L’auspicio, per Chiodi, in ogni caso è cha accanto al miglioramento gestionale vi siano risorse aggiuntive. Ma esse dovrebbero essere dedicate agli investimenti in tecnologia e nelle strutture. Chiodi è poi intervenuto anche sul tema caldo dei costi standard: “Sono importanti ma devono essere fatti in modo ragionevole e bisogna dare del tempo alle Regioni per affrontare le resistenze ad un loro introduzione”.
Per Raffaele Calabrò, deputato del PDL e membro della Commissione Affari sociali. “Non possiamo immaginare di riorganizzare il sistema con l’allocazione diversa delle risorse. Ci sono realtà che hanno bisogno urgente di investimenti strutturali e tecnologici”. Ma Calabrò ha anche criticato il modus agendi degli ultimi anni: “Si sono usati strumenti solo di ordine economico. I conti migliorano ma la salute e la sanità non si possono gestire solo facendo tagli. Non si può prima tagliare e poi investire”.
A chiudere la mattinata è stato infine il presidente della Commissione Affari Sociali della Camera Pierpaolo Vargiù (Scelta Civica) che ha puntato il suo intervento sugli scarsi, o forse sarebbe meglio dire variegati, mezzi di misurazione del nostro Ssn. “Dobbiamo capire dove si annidano le inappropriatezze”. Stesso discorso sui costi standard: “Dobbiamo capire come tararli”. Per Vargiù, in ogni caso, il sistema deve affrontare due emergenze: “Nuova domanda di salute e cronicità”. E poi ha ricordato come vi sia la necessità di affrontare la questione sanità senza più ideologie” (il riferimento è alla legge 833/78).
6 novembre 2013 – elaborazione Sivemp Veneto da Sole sanità – riproduzione riservata