di Roberto Turno. Regione che vai, stipendio che trovi. Fanno lo stesso lavoro – medici, infermieri e tutto l’esercito dei dipendenti Ssn – ma guadagnano meno o molto di più a seconda della regione in cui lavorano. Certo, in tre anni (perfino escludendo il blocco dei contratti) hanno perso in busta paga 1,17 mld, il 3,1% del totale. E sono dimagriti di numero del 2,8% (-19mila unità). Ma è anche vero che costi e trattamento dei dipendenti della sanità pubblica sono uno spezzatino all’italiana. Dove il costo medio totale varia dai 62.772 euro della Campania ai 51.753 del Veneto, 11mila euro in meno (ben il 20%) contro una media di 53mila nelle tre regioni benchmark (Umbria, Emilia e Veneto). E dove un medico (sono 120mila) può costare in media 120mila euro in Molise e 105mila in Sardegna, e 113mila nelle regioni benchmark. Con la Sardegna al top per costo per abitante (318 euro), la Lombardia ai minimi (189) e le regioni benchmark a metà strada. Il rapporto
Per non dire della falange (331mila) di infermieri&co appartenenti al “comparto del ruolo sanitario”: in Campania guadagnano in media 47.933 euro, in Sardegna 41mila (43mila nelle regioni benchmark), 6mila euro di gap (il 15%). Ma è tale la numerosità di questa categoria, che se mai si pareggiassero i costi con quelli realizzati nelle regioni benchmark, in teoria si potrebbero risparmiare fino a 500 mln. Circa 200 mln invece per i medici. In teoria.
Teoria, certo. Anche perché i tagli in questi anni ci sono stati nel Ssn, eccome. Da Tremonti in poi sono stati contabilizzati in circa 30 mld. E altre misure scomode e dolorose rischiano di arrivare con quella sorta di Jobs act per la sanità allo studio in applicazione del «Patto salute» che ha messo in fibrillazione giovani dottori e sindacati. Certo è che lo studio, mai fatto prima, della Stem, la struttura tecnica della Conferenza Stato-Regioni, fornisce ora uno spaccato eloquente del settore proprio mentre i tagli della manovra 2015 rischiano di colpire la sanità almeno per altri 1,5-2 mld dopo il pesante ridimensionamento di questi anni.
Il rapporto della Stem, che siamo in grado di anticipare, considera il triennio 2010- 2012 e fotografa una maionese impazzita di costi e di spese morigerate e/ o esagerate.
A partire dall’uso, e talvolta forse l’abuso, delle indennità concesse dalle aziende sanitarie in base ai tre fondi di cui dispongono (di funzione, disagio e risultato). Ebbene, capita che in Campania in media queste indennità pesino sul totale delle retribuzioni per il 23,7% contro il 17,7 della Sardegna e il 20,3 delle regioni benchmark. Uno sbalzo del 6% tra il massimo e il minimo. Per i medici si va dal 32,6% del Piemonte e il 31,7 del Veneto al 26,1 della Sardegna e il 26,6 della Toscana. Un excursus che per gli infermieri tocca il 19,6% in Campania e l’11,1 in Basilicata: un 8% di differenza ancora più marcato e decisivo in termini di costi per la numerosità di questo comparto.
Fatto sta che le regioni benchmark hanno sempre costi sotto la media nazionale. Anche se non mancano spiegazioni ai risultati soprattutto al Sud e nelle regioni commissariate o sotto piano di rientro. Da una parte può pesare la presenza di personale più anziano o di grado più elevato. Così come un peso lo hanno avuto i blocchi del turn over, che hanno richiesto più straordinari, festivi o notturni. Più indennità, insomma. E d’altra parte le “regioni canaglia” potrebbero appuntarsi una stella al petto: i nostri piani di rientro hanno funzionato, possono magnificare Campania, Lazio, Puglia, elencando i più sensibili cali di costo e di personale in questi anni.
Il rapporto Stem sottolinea queste spiegazioni. Ma ammette che omogeneizzando il più possibile le indennità, e razionalizzando l’organizzazione dei servizi, potrebbero essere «contenute» le differenze tra le regioni. Altrimenti lo spezzatino resterà sempre realtà. Certo è che se il Molise per i suoi medici spendesse in media quanto le 3 benchmark, risparmierebbe 5,2 mln. Ben 55 mln il Piemonte, 16 mln la Calabria e 23 mln la Campania. E addirittura 109 mln in meno spenderebbe per gli infermieri sempre la Campania allineandosi alla media delle tre regioni al top. Sarà teoria. Ma forse non troppo.
Il Sole 24 Ore – 21 novembre 2014