Un viaggio di nozze regalato da amici e parenti, il lascito di uno zio, una donazione dei genitori, la buonuscita dell’azienda per un incarico manageriale chiuso prima del previsto.
Sono questi alcuni degli “assi nella manica” che il contribuente finito nel mirino del nuovo redditometro potrà esibire nel confronto con l’agenzia delle Entrate, per giustificare spese non in linea con il reddito dichiarato nell’anno. Il tutto, naturalmente, a patto di essere davvero in regola con il Fisco.
Con la diffusione della circolare 24/E, avvenuta la settimana scorsa, il nuovo strumento antievasione a disposizione dell’amministrazione finanziaria entra nel vivo. Potrà essere usato per selezionare i contribuenti più a rischio di infedeltà fiscale, a partire dai redditi del 2009: la prima spia di questa irregolarità è uno scostamento di almeno il 20% tra il reddito ricostruito “sinteticamente” dal Fisco in base alle spese sostenute dal contribuente, e quello indicato in dichiarazione.
Sta dunque al contribuente, nella prima fase del confronto con l’agenzia delle Entrate, dimostrare come ha fatto a procurarsi la somma di denaro necessaria ad acquistare una casa, un’auto, un’opera d’arte, pur non avendola guadagnata quell’anno, e non essendo quindi tenuto a esporla nella dichiarazione.
Le tutele
Nelle indicazioni agli uffici per selezionare le circa 35mila persone che ogni anno potranno finire nelle maglie del redditometro, l’agenzia delle Entrate fissa però alcuni paletti: innanzitutto, saranno selezionati coloro che presentano scostamenti «significativi» tra reddito dichiarato e capacità di spesa manifestata: è presumibile, quindi, che i fari saranno puntati su chi supera abbondantemente la soglia di scostamento del 20 per cento. E di conseguenza per questi soggetti sarà più difficile dimostrare – carte alla mano – che non hanno beneficiato di introiti in nero.
I controlli dovranno evitare, poi, le situazioni di «marginalità economica», come i casi di chi ha perso il lavoro e quindi non ha dichiarato redditi in un deterrminato anno, o lo ha fatto solo per alcuni mesi.
L’altra avvertenza agli uffici, per tutelare i contribuenti, è quella di considerare non solo il reddito del singolo, ma quello della famiglia: se uno dei componenti del nucleo ha una capacità di spesa ridotta, magari, considerando anche i redditi degli altri membri, l’esborso diventa coerente.
Le prove da esibire
Una volta raggiunti dalla richiesta di chiarimenti delle Entrate, però, non resta che difendersi, in un incontro ad hoc, che è fondamentale per evitare un accertamento vero e proprio. La fase formale della contestazione, con una proposta di ricostruzione del reddito elaborata dall’ufficio, parte solo se il contribuente non è stato in grado – neppure dopo il secondo incontro con l’ufficio – di fornire prove contrarie rispetto alla presunzione di irregolarità della dichiarazione.
È fondamentale, dunque, esibire i documenti che possono giustificare le spese sostenute. Come si vede dai dieci esempi a lato, ogni caso può richiedere una tipologia diversa di prova: si va dalla copia di assegni e bonifici, all’attestazione del disinvestimento di titoli finanziari, dall’atto del notaio che certifica la cessione di quote societarie, ai canoni d’affitto incassati (e dichiarati) negli anni precedenti.
Il professionista con 80mila euro di reddito dichiarato che, ad esempio, acquista uno studio per 300mila euro senza ricorrere al mutuo, può essere chiamato a rispondere della spesa eccedente i 96mila euro “tollerati”, nel suo caso, dal Fisco (80mila euro, più il 20%, ovvero 16mila euro): nel contraddittorio con le Entrate, potrà provare di aver usato titoli finanziari in scadenza.
Il Sole 24 Ore – 5 agosto 2013