A fine ottobre, mentre l’inchiesta «Pantano», tra arresti e illustri indagati legati al mondo della politica e dell’amministrazione della «cosa pubblica», alzava il sipario su un giro di appalti gestiti in maniera arbitraria, nel pieno rispetto di amicizie e rapporti saldati dal tempo, «da fuori» più di qualche imprenditore si riconosceva come vittima, avendo perso, in maniera del tutto simile a quella scoperta dall’indagine della procura, un lavoro o un appalto importante.
Strada facendo i sospetti sono diventati più forti, con le continue notizie di quei giorni in cui si raccontavano, aggiungendo nomi e cognomi, le modalità clientelari dell’aggiudicazione di alcuni bandi di Comune, Ater, Esercito e Provincia, che, almeno in apparenza, avrebbero dovuto essere pubblici. E il fatto che i personaggi coinvolti in quello scandalo fossero sempre gli stessi, ha spinto alcuni a prendere carta e penna e scrivere alla magistratura padovana.
Da quegli esposti dettagliati finiti sul tavolo del sostituto procuratore Sergio Dini è nato un altro filone d’indagine, legato alla gestione nell’Esercito di appalti e di fondi. A legare le due inchieste sarebbe il nome del tenente colonnello dell’Esercito Roberto Lasalvia, con funzioni di «capo ufficio alloggi» del V Reparto Infrastrutture nonché responsabile delle gare e dell’affidamento dei lavori, finito nel Pantano (e ora a rischio processo) per atto contrario ai doveri d’ufficio. Proprio sull’operato del tenente colonnello Lasalvia, che si faceva chiamare «zio» da uno dei principali protagonisti della precedente inchiesta (favorendo la vittoria dell’imprenditore nelle gare d’appalto in cambio di piccoli lavori nelle sue case in città e in Slovenia; o di una vacanza «all inclusive» in Turchia con set di valigie; o di un treno di gomme per la sua automobile, una Hyundai Tucson), e su quello di altri graduati dell’Esercito si stanno concentrando le attenzioni del pm Dini e della guardia di finanza.
La scorsa settimana le Fiamme gialle hanno bussato alla porta del V Reparto Infrastrutture, in Riviera San Benedetto, sede dell’ufficio di Lasalvia, per acquisire scatoloni di documenti legati alla gestione dell’assegnazione dei lavori di manutenzione nelle caserme del Veneto e non solo, dal momento che da Padova si decidono le sorti delle strutture di tutto il Nordest. La nuova inchiesta al momento non ha indagati e l’ipotesi per cui si indaga va dalla corruzione alla concussione.
Secondo gli esposti di alcuni imprenditori sconfitti nelle gare d’appalto bandite dal V Reaparto Infrastrutture, ci sarebbe stata una sorta di connivenza tra i vincitori dei lavori e chi tirava i fili della faccenda: in cambio di favori e regalie, i piccoli imprenditori sarebbero stati in grado di aggiudicarsi (e spartirsi tramite subappalti vari) i lavori. Ma la procura starebbe anche valutando le voci – pure loro dettagliate e precise – di alcune irregolarità nelle procedure amministrative in capo alle forze armata a Padova: di mezzo ci sarebbe finita la gestione di fondi a disposizione dell’Esercito. Al momento però gli inquirenti non vogliono dire nulla di più e restano blindati dietro il più stretto riserbo: l’inchiesta è già delicata di per sé e se le accuse lanciate dai vari firmatari degli esposti fossero vere, il caso potrebbe gettare nuovo discreto sull’organizzazione militare.
Quasi in contemporanea con l’esplosione del nuovo caso giudiziario legato ad appalti gestiti «a piacere», in un altro corridoio della procura il sostituto procuratore Federica Baccaglini ha firmato la chiusura dell’inchiesta Pantano, di fatto la «madre» del fascicolo sull’Esercito. Da ieri mattina infatti gli avvisi di fine indagine stanno raggiungendo gli indagati: dei 30 nomi coinvolti a ottobre, in 24 rischiano di finire a processo. Le accuse più gravi sono quelle che il pm Baccaglini contesa a tre imprenditori, creatori, come scriveva ad ottobre il gip Lara Fortuna, di «un’associazione a delinquere» creata «al fine di eseguire un complessivo programma teso alla realizzazione, per comune profitto, di reati» contro la pubblica amministrazione, «principalmente le turbative d’asta». Il resto dei reati sono falso, abuso d’ufficio e corruzione.
Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 25 marzo 2014