di Roberto Turno. «Riparliamone a settembre». Messi alle strette dall’improvvisa e per tanti discutibile proposta del Governo per scegliere le tre sanità regionali benchmark nel segno dei presunti costi standard del federalismo all’italiana, i governatori si spaccano. Uno di qua, l’altro di là. Tutti (o quasi) contro (quasi) tutti. E rinviano a settembre qualsiasi decisione, un mese che si annuncia sempre più denso di scadenze: Imu, Iva, riforme istituzionali, finanziamento ai partiti, legge di stabilità. E ora anche le tante patate bollenti che si accumulano nel pentolone dei conti sanitari. Una grana in più per il Governo, se mai ce ne fosse bisogno. Tutto, ieri, s’è consumato la mattina in poche ore. Giusto il tempo della pausa pranzo.
Quando, finita la riunione dei governatori che ha deciso di non decidere, il presidente leghista della Lombardia, interpellato dal Sole-24 Ore sull’esito della riunione convocata per dire «sì o no» alla proposta del Governo, non usava mezzi termini: «Il Governo deve cambiare il decreto o sarà guerra. La Lombardia non ha mai avuto deficit sanitari e dovrebbe essere al primo posto, invece siamo quarti. Siamo fuori dalla terna per ragioni politiche. Tutte le tre prima di noi hanno avuto piani di rientro. Noi mai, siamo la Regione becnhmark per eccellenza, ma siamo esclusi per ragioni politiche a favore del centrosinistra. Qualcuno nel Governo non sa fare bene i conti». Parole indirizzate all’Economia, quelle di Maroni, ma anche alla Lorenzin (Pdl) accusata di essere in sintonia con la sinistra contro la Regione pidiellina per eccellenza, proprio il modello lumbard e formigoniano. Un tradimento doppio.
Il furore leghista, dopo un duro confronto tra i governatori che avevano intanto deciso di non decidere (cioé di rinviare qualsiasi decisione), si è abbattuto infatti contro la proposta della Lorenzin che indicava nell’ordine Umbria, Emilia Romagna, Marche, Lombardia e Veneto come le prime cinque Regioni da cui pescare le tre benchmark per dividere la torta dei fondi (108 miliardi) per il 2013 da distribuire per la prima volta col criterio dei costi e fabbisogni standard. Come dire, data anche la geopolitica: dentro Umbria, Emilia Romagna e una tra Lombardia e Veneto. Che però nella rosa delle cinque “migliori” starebbero in coda.
Troppo per l’orgoglio lumbard. Ma anche per quello (leghista) veneto: «Sentiamo puzza di voglia di continuare a far spendere gli spreconi», tuonava Luca Zaia. E Roberto Cota (Piemonte) s’accodava: «Lombardia e Veneto sono le migliori». Tant’è. Si ribellava subito Catiuscia Marini (Pd, Umbria): «Noi mai finiti sotto piani di rientro, non è un campionato di calcio». Sulla stessa falsariga Gian Mario Spacca (Marche). E l’assessore emiliano Carlo Lusenti: «Da Maroni una svista clamorosa». Per non dire della Toscana: «Siamo al top. Di più: siamo l’unica Regione con i conti delle aziende sanitarie certificati», la secca bocciatura riservata al decreto della Lorenzin dal governatore Enrico Rossi.
Risultato: a settembre se ne riparlerà. Rifacendo i conti. Sempre che soddisfino tutti. Anche se poi, che si diventi Regione benchmark o meno, si sposterà ben poco: qualche decina di milioni, a esagerare. Ma quel che vale di questi tempi è anche una medaglia al collo.
Il Sole 24 Ore – 2 agosto 2013
I costi standard? Quelli dell’Umbria. Veneti indignati: «Favore agli spreconi»
Quali sono le tre Regioni italiane dove la sanità pubblica dà i migliori risultati? Ma è ovvio, come ognun sa si tratta di Umbria, Emilia e Marche. Dopo, e soltanto dopo, vengono la Lombardia e il Veneto.
Questo pensano i nostri governanti, che ieri si sono presentati in Conferenza Stato-Regioni con il provvedimento sui costi standard in sanità, prendendo a riferimento per la determinazione dei fabbisogni (cioè, in soldoni, per i nuovi metodi di calcolo della spesa sanitaria e dei livelli di assistenza) le tre suddette Regioni e inserendo la Lombardia al quarto posto e il Veneto al quinto. È sicuramente vero che Umbria, Emilia e Marche hanno le carte in regola dal punto di vista finanziario, poiché non hanno mai registrato deficit nel bilancio dei rispettivi sistemi sanitari, però esiste anche una questione dimensionale: paragonare l’efficienza dell’Umbria, che deve provvedere all’assistenza sanitaria per meno di 1 milione di abitanti, con quella del Veneto (5 milioni) o addirittura della Lombardia (quasi 10 milioni), rischia di essere fuorviante.
Talmente fuorviante che il governatore Luca Zaia si è letteralmente indignato: «Questa non è soltanto una bieca manovra politica, ma puzza lontano un miglio di voglia o di necessità di non chiudere i rubinetti della spesa agli spreconi». Tradotto: il timore, agitato soprattutto dai governatori leghisti (oltre a Zaia, anche il lombardo Maroni e il piemontese Cota), è che la scelta di prendere a riferimento la spesa sanitaria di Regioni come l’Umbria e le Marche nasconda la volontà di non modificare troppo la situazione attuale. Incalza Zaia: «Ho un sospetto che credo fondato: che nessuno abbia in realtà molta voglia di prendere esempio dalle regioni veramente virtuose, per consentire a chi non sa amministrare di continuare a sprecare soldi pubblici portando interi sistemi sanitari al collasso. E magari per continuare a tagliare la spesa anche a chi, come il Veneto, non se lo merita». Gli dà ragione su Facebook Roberto Maroni: «Aver inserito soltanto al quarto e quinto posto la Lombardia e il Veneto nella classifica delle regioni che saranno punto di riferimento per i costi standard puzza di voglia di non chiudere i rubinetti della spesa agli spreconi».
Esiste ancora una speranza. Davanti alla protesta montante in Conferenza Stato-Regioni, la scelta delle tre Regioni da prendere a riferimento è stata rinviata a settembre. «Mi appello al ministro Lorenzin – chiude Zaia – perché dopo le ferie riporti la questione sui giusti binari»
Il Corriere del Veneto – 2 agosto 2013