Christian Benna. II federalismo sanitario non è la cura adatta per tutti raffreddori della sanità in crisi di risorse, ma rischia di diventare il sintomo di una nuova malattia di sistema.
Sembra giungere a queste conclusioni il libro “Sanità a 2 velocità”, curato da Lorenzo Cuocolo, Davide Integlia e Stefano da Empoli, realizzato per conto dell’Istituto per la Competitività (I-Corn), che prova a raccontare il fenomeno dello spread della spesa sanitaria nazionale. Negli anni novanta, la forbice di spesa tra le regioni italiane non superava 25 euro per cittadino. Nel 2004, tre anni dopo la devolution sanitaria, il differenziale è balzato 200 curo per poi stabilizzarsi a 150 euro di oggi. E non sono cifre di poco conto visto che il Ssn spende in media 1800 euro per persona. Stesso discorso per quanta riguarda i farmaci: dove lo spread della salute varia intorno a 30 e 40 euro a seconda della regione, una differenza che, secondo gli autori dello studio, non ha ragion d’essere, in quanto sia l’autorizzazione all’immissione in commercio sia i prezzi dei farmaci sono decisi dall’Agenzia del farmaco (Aifa), a livello nazionale. Le Regioni, alle prese con l’esigenza di non sfondare i tetti dei patti di stabilità, ma forti dell’autonomia finanziaria, si sono rifugiate nella logica della minor spesa. Ad esempio, dal 1990 al 2012, la spesa per l’acquisto di farmaci è calata drasticamente del 22%. Insomma, qualcosa non funziona nella riforma del Titolo V della costituzione che ha assegnato maggiori poteri alle Regione, ma allo stesso tempo le ha incatenate alla rigidità dei patti di stabilità. Per Luca Pani, direttore generale dell’Aifa: «Il sistema sanitario nella sua versione ‘federalista’ non sta ottemperando al meglio all’obbligo, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, di tutelare la salute dei cittadini e garantire equità nell’accesso alle cure indipendentemente dalla Regione di residenza». Per questo motivo «non posso fare altro che auspicare una re-centralizzazione del sistema della farmaceutica, che da solo vale il 18,2%del Fondo Sanitario Nazionale, per colmare il divario creatosi in questi anni all’interno di territori diversi dello Stato, in termini di accesso alle cure, erogazione dei servizi e gestione delle risorse». E non si tratta di allargare le maniche agli eccessi di spesa. Perché al confronto con i paesi avanzati emerge, su dati al 2011, che il livello medio di spesa sanitaria in rapporto al Pil dei Paesi Ocse si è attestato al 9,3%, mentre l’Italia si posiziona al 9,2%. Anzi, secondo l’Istituto per la competitività, think tank indipendente a cui fanno capo i curatori del libro, a partire dal 2000, il problema del contenimento degli sprechi in sanità si pone come una «vexata quaestio carica di contraddizioni, perché sono state implementate misure di tagli lineari e spending review» che hanno minato le garanzie all’accesso universale al servizio sanitario nazionale. «Alla fine degli anni ’90 —ha detto Renato Balduzzi, ex mi -nistro della Salute e oggi presidente della commissione parlamentare per le questioni regionali — prevalse l’opinione che per migliorare il nostro sistema sanitario bisognasse dare più poteri alle Regioni e più spazio al privato. Oggi prevale l’opinione inversa. A questo esito hanno concorso certo pratiche non esaltanti in questa o quella regione, ma anche la confusione creata da un’enfasi esagerata e confusa sul cosiddetto federalismo oltre che al malfunzionamento dei controlli».
Per Stefano da Empoli, uno degli autori del libro “Sanità a 21 velocità” bisogna puntare a «una nuova strategia sanitaria nazionale che debba essere capace di valorizzare la vicinanza degli enti regionali rispetto alle esigenze dei cittadini e, al contempo, centrare obiettivi d i equità, efficienzae competitività». Eperquesti motivi, a livello di organizzazione sanitaria, «siamo favorevoli a preservare l’autonomia delle Regioni, sia pure in un processo che porti all’adozione genera-lizzata di costi standard. Crediamo, invece, che sul fronte farmaceutico, dove le decisio n i più importanti sull’accesso si prendonoin Europa, la strada da percorrere sia la costituzione di un Fondo Farmaceutico Nazionale, in cui confluiscano tutte le risorse oggi destinate dallo Stato alla spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera». A gestire il nuovo Fondo, suggerisce l’analisi di da Empoli, potrebbe essere l’Agenzia Italiana del Farmaco, che diverrebbe così una vera autorità garante con «caratteristiche di terzietà e indipendenza rispetto al Governo». Sollevate dalla competenza sulla gestione della spesa farmaceutica, le Regioni potrebbero rafforzare il proprio ruolo divalutazioneedecisioneall’intemo del consiglio direttivo di Aifa, dove già siedono. Il Fondo Farmaceutico Nazionale si configurerebbe, dunque, come una piattaforma decisionale in gradodi raggiungere alcuni obiettivi. Tra quelli individuati da I-Corn ci sono la razionalizzazio-ne e omogeneizzazione della spesa farmaceutica sui territori, ripristino di appropriati meccanismi di valutazione dei farmaci (Health Tecnology Assessment) e valorizzazione delle best practice, ingresso più rapido dei nuovi farmaci sul merca *** to e conseguente disponibilità per tutti i cittadini (oggi passano in media 305 giorni tra l’approvazione di Aifa e l’immissione sul mercato), creazione di una governance più lineare e favorevole al potenziamento degli investimenti in Italia da parte delle aziende farmaceutiche.
Repubblica Affari&Finanza – 11 novembre 2013