Dopo l’Horsegate, una profezia “auto-avveratasi”: la National Pig Union aveva dichiarato: il prossimo horsegate verrà dal maiale. La Commissione propone in etichetta luogo di nascita e macellazione da aprile 2015. Una crisi che colpisce al cuore l’idea di tracciabilità in Europa: e che riguarda stavolta non il cavallo, ma il maiale.
E proprio il gigante della distribuzione inglese, Tesco, al centro dello scandalo Horsegate (si ricorderà che nel famoso “Tesco Burger” la carne di cavallo, nemmeno indicata, arrivava ad una percentuale del 29%). Stando alla notizia diffusa martedì dal Daily Mail, i fatti sono i seguenti. Un giornalista investigativo della BBC, per la redazione di un programma e andando a fare la spesa da Tesco, avrebbe acquistato carne di maiale. Ma non carne di maiale qualsiasi.
Carne certificata inglese, addirittura con il noto bollino del “Red Tractor”, marchio distintivo nazionale che sta tanto a cuore sia ai consumatori che agli allevatori ( e che garantisce qualità, sicurezza alimentare e rispetto ambientale).
In base a dati su consumatori, il Red Tractor infatti ha un elevato gradimento presso i consumatori inglesi: di fatto il primo logo per riconoscibilità (oltre il 35% dei consumatori, contro un 14% di FairTrade, ad esempio, o un 9% della Soil Association). Inoltre, la mera origine nazionale-in base ad una ricerca Mintel- sta ben a cuore ai consumatori inglesi (49%).
I risultati di test, come arrivati dal laboratorio tedesco di indagini, dimostrano però un’altra storia: la carne non era di origine nazionale, bensì estera, e per la precisione, olandese. Tesco ha dovuto ammettere in ritardo la propria colpevolezza. In Europa dovrebbe valere, per i prodotti di origine animala, un nuovo regolamento in vigore da luglio 2012 (Reg. UE) 931/2011 che rafforza la tracciabilità, rendendo obbligatoria l’indicazione del lotto da fornitore a operatore successivo (aspetto caldeggiato nella General Food Law, Reg. (CE) 178/2002, ma spesso disatteso. E come l’horsegate ha dimostrato, non sta propriamente funzionando.
La notizia rappresenta uno shock per diversi motivi. Intanto, i consumatori inglesi mediamente pagano un differenziale di prezzo sulla carne di maiale in risposta a schemi di qualità o tracciabilità non mantenere la promessa significa quindi frodare.
Altro aspetto stridente, l’ultimo l’impegno che Philip Clarke, a capo di Tesco, aveva preso con la filiera agricola inglese: se nel passato abbiamo maltrattato gli agricoltori, ce ne scusiamo e cerchiamo di recuperare- questo il senso delle sue affermazioni. La nuova alleanza che Tesco cercava con gli agricoltori era poi passata attraverso un nuovo ruolo che il retailer si era dato: di coordinate ore dei rapporti di filiera. Proprio un alto funzionario della National Farmers’ Union, l’associazione degli agricoltori inglesi, era stato preso a prestito per lo scopo di ridare fiducia ai consumatori inglesi. Ma oggi, la debacle. Nel recente passato la carne dall’Olanda era finita ancora al centro dell’attenzione: proprio la terra dei tulipani infatti era diventata il luogo per eccellenza di smistamento della carne equina. Con una delle principali aziende di trasformazione che erano state costrette dalla Autorità Nazionale per la Sicurezza Alimentare (Dutch Food Safety authority, NVWA) al ritiro di ben 50.000 tonnellate di carne dal mercato: carne vecchia, maleodorante- come si apprende dal The Guardian- poi rilavorata.
Filiera sotto attacco
Nei mesi scorsi la associazione inglese degli allevatori suini (National Pig Association) aveva ammonito: il prossimo horsegate verrà dal maiale. E avevano denunciato la insostenibilità di una filiera, con costi così bassi da dover compromettere la qualità e la certezza dell’approvigionamento delle materie prime. Un contesto ideale per frodi e raggiri, ed eventualmente, problemi di sicurezza alimentare. Già nel 2007 c’era chi aveva sottolineato questia aspetti: un ricercatore, Andrew Cox, pubblicando sul British Food Journal, metteva in evidenza come i progressi di efficienza ottenuti tramite investimenti dagli allevatori suini non si trasmettevano in maggiori guodagni. Semmai, diventavano un’attesa di ulteriori tagli ai costi produttivi. In un vero e proprio circolo vizioso.
Monta il dibattito sull’origine: nascita e macellazione in etichetta per suino, pollame e ovicaprini
Dopo l’ennesimo scandalo circa la carne suina olandese spacciata per inglese, l’origine delle carni fresche resta uno dei temi caldi del dibattito attuale, anche a livello normativo UE. In base al regolamento (UE) 1169/2011, l’indicazione dello Stato di origine o del Posto di provenienza è obbligatoria per carni non trasformate di maiale, pollo/pollame, ovicaprine. Entro dicembre 2013 la Commissione produrrà proposte in tal senso.
Origine…si ma quale? Uno snodo poco chiaro riguarda infatti il reale significato di origine. Una volta deciso, la nuova forma di etichettatura di origine verrà considerata applicativa da Aprile 2015. Quali i tempi previsti dalla normativa UE?
Entro 13 dicembre 2013, sarà pubblicata una relazione della Commissione al Parlamento e Consiglio circa idoneità di menzione “country of origin” o invece “place of provenance” (carne suina, caprina, ovina, pollame= (pollame, anatre, oche, tacchini, faraone- ad eccezione dei fegati).
Stanno cominciando a filtrare alcune opzioni, che valutano anche i costi di etichettatura e certificazione necessari. La Commissione sembra orientata per un modello ibrido, che senza rimanere troppo vago (origine Ue/origine extra Ue), non sia però dettagliato come il modello bovino (ex. Reg. 1760/2000), che prevede luogo di nascita, allevamento e macellazione.
La Commissione proporrà un modello di informazioni in etichetta con: luogo di allevamento e macellazione. I costi aggiuntivi di tale opzione, minori rispetto al modello “bovino esteso”, sono minori, ma impatterebbero (in base ad uno studio dei servizi della Commissione):
Sempre entro tale data, la Commissione è poi tenuta a presentare una relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per le carni utilizzate come ingrediente.
Entro tale data inoltre la CE propone definizione circa “ingrediente primario” (tale definizione a norma dell’art. 26.3 è rilevante in quanto in caso provenienza ingrediente primario sia diversa da alimento finale, va indicata).
Entro il 13 dicembre 2014 la CE deve presenta relazione al PE e Consiglio su idoneità (fattibilità+opportunità) di etichettare obbligatoriamente con country of origin o invece place of provenance:
· altri tipi di carne (es, coniglio, equina…)
· latte e latte come ingrediente
· alimenti non trasformati
· prodotti monoingrediente
· ingredienti oltre il 50% sull’alimento.
Gli agricoltori europei chiedono filiere più sicure e sostenibili
Dopo Horsegate e Porkgate, maggiore consapevolezza che la sicurezza alimentare dipende dalla sostenibilità economica delle filiere. Rinnovata richiesta per una normativa su Prassi Commerciali Inique. Provvedimenti chiari ai fini dell’introduzione di una normativa europea per far fronte alle pratiche sleali e abusive nella catena alimentare: un approccio volontario non è sufficiente. E’ quanto viene richiesto insistentemente dagli agricoltori europei all’indomani dell’inizio dell’accordo volontario europeo tra vari attori della fliera alimentare: promosso per dirimere i rapporti di forza, e cercando semmai di trasformarli in rapporti di collaborazione, tra produzione primaria, industria e retail.
Gli agricoltori europei, come più volte ricordato da queste pagine, non avevano infine aderito all’accordo di governance volontaria, giudicandolo insufficiente in tutta una serie di elementi fondamentali. E dopo che la Commissione Europea aveva riconosciuto le loro buone ragioni, invitando gli altri attori a recepire i suggerimenti.
Tra gli aspetti mancanti,
– L’anonimato degli operatori commerciali che si lamentano, sottolineando di subire prassi commerciali abusive. Tale anonimato non sembra correttamente garantito dall’accordo europeo; con il conseguente rischio di ritorsioni commerciali (come ad esempio l’esclusione del fornitore da future contrattazioni). Ciò funge da deterrente (“fattore paura”), riconosciuto come uno dei principali motivi di fallimento di azioni normative di repressione;
– Il reale tenore delle sanzioni per coloro (retailer) che non si adeguano alle buone prassi contrattuali. Sono sanzioni virtuali e non parametrate alla entità del danno. Nel Regno Unito per contro, in base al nuovo Adjudicator Code, vi saranno sanzioni anche pesanti ai trasgressori;
– I tempi e le modalità di valutazione del successo o meno dell’iniziativa volontaria risultano altamente incerti e arbitrari.
Ad oggi, i difficili rapporti di filiera, con spesso vere e proprie vessazioni in carico agli agricoltori/fornitori, rappresentano un punto critico. In grado di far esplodere casi di insicurezza alimentare e crisi di fiducia dei consumatori. Il caso dell’Horsegate ne è un chiarissimo esempio, al pari del più recente “Porkgate”.
Prezzi bassissimi, selezione degli operatori sulla base delle caratteristiche solo economiche, escludendo i produttori migliori e più attenti. L’aspetto economico non riguarda quindi solo la sopravvivenza economica di tante imprese della filiera di fornitura alimentare, ma anche inevitabili contraccolpi di food safety e sulla fiducia dei consumatori.
Il presidente del gruppo di lavoro “Catena alimentare” del Copa-Cogeca, Peter Kendall, ha dichiarato: “L’esperienza ci insegna che dei codici di buone prassi nella catena alimentare danno dei risultati per i distributori, i fornitori e i consumatori solo se sono appoggiati da una applicazione e un controllo veri e propri. Il Copa-Cogeca è a favore di una soluzione pratica che unisca legislazione e codici volontari sostenuti da un’applicazione che dia credibilità al sistema.
L’anno scorso il Copa-Cogeca ha deciso di non firmare l’iniziativa volontaria e, finora, non ci sono stati sviluppi nell’iniziativa che giustifichino un cambiamento di posizione. Gli aspetti critici sollevati l’anno scorso restano irrisolti. Il Copa-Cogeca resta a disposizione e aperto al dialogo con tutti i partner della catena alimentare. Siamo convinti che un miglior funzionamento della catena alimentare possa essere raggiunto unicamente con la partecipazione di tutte le parti interessate”. In alcuni Stati membri, è già stata introdotta o sta per essere introdotta una legislazione, giacché l’autoregolamentazione risulta inefficace a fronte dell’enorme potere esercitato da un numero ristretto di supermercati.
L’Italia?
Nell’ultimo mese, dopo la indagine conoscitiva della Antitrust italiana, si è venuto a sapere che fatto 100 il valore pagato al fornitore dal distributore, un buon 40 viene chiesto indietro dalla Grande Distribuzione Organizzata per il cosiddetto “trading spending”: quei servizi accessori, che dovrebbero servire per meglio commercializzare il prodotto fornito, ma che spesso diventano soltanto un obolo ingiustificato per erodere il valore aggiunto della parte agricola/a monte. Una situazione insostenibile, a detta della stessa Antitrust, che valuterà caso per caso, sulla base delle nuove disposizioni introdotte ex art. 62 del Decreto Liberalizzazioni, la presenza di prassi commerciali inique e rapporti di forza.
In base ai daiti di una ricerca condotta da Cribis D&B, solo il 21,8% delle aziende della GDO rispetta i termini concordati di pagamento ai fornitori. In pratica, una impresa su cinque.
Il costo della Sicurezza alimentare
Filiera non sostenibili, che scaricano i costi da qualche parte e non remunerano adeguatamente la parte agricola sono prone a incidenti di sicurezza alimentare. Alcune tra le maggiori crisi alimentari di sempre sembrano proprio dovute ad una ricerca esasperata dei abbattimento dei costi produttivi, mantenendo semmai i margini commerciali e “speculando” a danno di produttori primari e consumatori. Ripercorrendo la recente storia degli ultimi anni:
– Vino al metanolo (anni ’80), in ragione di una minore accisa su metanolo (tipo di alcol) che sugli zuccheri, si sostiuisce l’uva con la sostanza, in grado di aumentare fittiziamente il tenore alcolico.
– BSE -Mucca Pazza- (anni ’90): la ricerca di costi produttivi sempre più bassi ha portato ad una alimentazione innaturale dei bovini, con carcasse bovine.
– Diossina in polli e uova (Belgio, 1998, Germania, 2011): le galline ovaiole e da carne sono state nutrite con premiscele a base di oli minerali esausti, con formazione di diossine, e in una logica di minimizzazione dei costi produttivi e del margine degli allevatori.
– Sudan Rosso (globale- dal 2000 ad oggi): spezie da ogni parte del mondo, colorate con agenti da concia, genotissici e cancerogeni, sempre per diminuire i costi produttivi.
– Mozzarella blu (2008, Germania) si ricostruiscono artificialmente derivati del latte (formaggi a pasta filata), con cagliate economiche ma che nulla hanno a che fare con la vera mozzarella, che può essere prodotta solo da latte fresco. Le condizioni igieniche approssimative degli impianti produttivi svelano la distorsione economica con conseguente frode.
– Latte alla melamina (2008, Cina), per aumentare il tenore proteico del latte in polvere, risparmiando, si arriva a tagliare sul latte vero contenuto.
– Frodi nel pesce: il pescato internazionale (in base a dati sia europei-Irlanda e UK- sia internazionali- Usa e Canada) il pesce che viene spacciato per altro si aggira su un 15%-25% di quello commercializzato. Anche in questo caso, oltre a una minore remunerazione del pesce “vero” corrispettivo, vi sono potenziali aspetti di sicurezza alimentare (esempio, diverso tenore di contaminanti o allergeni tra le diverse specie vendute)
– Horsegate e Porkgate (UK; 2011 e 2013): speculando sulla produzione primaria e cercando partite di carne ovunque siano più economiche (spesso anche in ragione di “macellazioni di emergenza”, vedi cavalli rumeni), si deprime il prezzo equamente pagato agli allevatori e lo si mette in competizione con “prezzi ombra” riferiti in realtà…. a cose diverse!
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 19 settembre 2013