Il premier Paolo Gentiloni non ne fa un dramma e ribadisce il mantra dei suoi primi giorni: l’esecutivo in carica «dura sin quando ha la fiducia del Parlamento: guardo con rispetto al dibattito sulla legge elettorale, confermo che il governo è nella pienezza dei poteri, ha impegni in corso che intende mantenere».
Angelino Alfano (Ap), ministro degli Esteri, principale alleato prima di Renzi e poi di Gentiloni, promette invece battaglia. L’accelerazione sulla legge elettorale, e sul voto, certifica a suo giudizio che «Renzi è inaffidabile, non capisco l’impazienza del Pd di portare l’Italia alle urne quattro mesi prima: ci costerà miliardi». E per questo ci sono già delle contromisure: «Faremo un’aggregazione contro di lui. Si reagirà così alla soglia di sbarramento al 5%, riaggregando tutti i moderati». In questa chiave si cerca anche un esponente-simbolo che potrebbe guidare questo quarto polo: ieri si faceva il nome di Stefano Parisi. Operazione che avrebbe il sostegno di settori di Confindustria. Ma il «fronte del no» al voto anticipato si arricchisce anche dei 31 parlamentari del Pd, della corrente di Orlando, in primo luogo Vannino Chiti, che si dissociano dal percorso di Renzi, di Berlusconi e dei grillini: va bene una legge elettorale, meno bene la corsa al voto. «È incomprensibile». Sembra l’inizio di una nuova, ennesima, battaglia interna al Pd.
La giornata ha un doppio registro: naviga a vele spiegate l’intesa sulle norme elettorali. Esponenti del Pd e di Forza Italia, i capigruppo in Parlamento, si incontrano e siglano un’intesa sui tempi. Ci sarà una legge «entro il 7 luglio» esplicita Renzi. Anche Berlusconi, che oggi riunisce a Arcore, la sua commissione sulla legge elettorale, dice la sua: «Con Renzi bisogna stare attenti, vigilare sui patti, ma è bravo ed è un interlocutore, in questo momento, sulle regole della legge elettorale…».
Ma è anche il giorno della direzione del Pd, in cui sfuma il sogno di un organigramma unitario, che includa esponenti della minoranza, e che vede Renzi incassare il sì alla sua road map . Lorenzo Guerini sarà il coordinatore della nuova segreteria, ma soprattutto si aggiungono dettagli ai movimenti in corso: «Lo sbarramento al 5% è elemento inamovibile del sistema tedesco. Per noi il nome scritto sulla scheda e il 5% sono inamovibili». Un chiarimento, ma anche un messaggio ad Alfano, e non solo: «Non siamo a difendere i piccoli veti dei piccoli partiti, ma il diritto di voto dei cittadini. O votiamo subito il sistema tedesco o non si fa più». E non si farebbe nemmeno «quella pacificazione parlamentare, perché l’80% delle forze politiche è favorevole». I grillini intanto brindano all’accelerazione, che condividono, nel metodo e nel merito. Luigi Di Maio: «Votiamo e poi la manovra economica la faremo noi, stavolta li mandiamo tutti a casa».
Marco Galluzzo – Il Corriere della Sera – 31 maggio 2017