Roberto Giovannini. È ormai evidente: il presidente del Consiglio punta politicamente moltissimo sulla «riforma della riforma» previdenziale. Ne aveva parlato lunedì, ne ha fatto ieri il centro della sua partecipazione a «Porta a Porta». Spiegando che «l’impegno del governo è chiaro ed è: liberiamo dalla Fornero quella parte di popolazione che accettando una piccola riduzione può andare in pensione con un po’ più di flessibilità. L’Inps deve dare a tutti la libertà di scelta».
Da quel che si capisce, per ora non ci sono proposte concrete per risolvere il problema di come consentire a chi vuole smettere di lavorare prima del tempo stabilito dalla riforma Fornero, senza ridurre al minimo l’assegno pensionistico o aprire una voragine nei conti pubblici. Per Renzi, comunque, «ci sono donne sopra i sessanta anni che vorrebbero andare in pensione, stare con i nipoti. Senza stare a fare promesse: con la legge di Stabilità stiamo studiando un meccanismo per dare un pochino di libertà in più. Se c’è una donna che per andare in pensione rinuncia a quei trenta euro, potrebbe andare in pensione con un po’ più di flessibilità».
Quanto al decreto legge sui rimborsi a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, il premier ha detto che «la sentenza della Consulta avrebbe imposto al governo di ripagare 18 miliardi di euro, ma i cittadini sanno che non ha senso spendere 18 miliardi per dare i rimborsi anche a chi sta abbastanza bene o bene». Tanto più che la questione è stata archiviata, spiega, nel giro di poco tempo: «Abbiamo risolto un problema nel giro di 15 giorni e abbiamo recuperato credibilità in Europa. Potevamo stare altri mesi a discutere, ragionare su che fare ma noi abbiamo deciso che quasi 4 milioni di pensionati avranno dei soldi. Dopodiché in Italia ci sono 350 miliardi bloccati dalla paura, è l’entità dei risparmi nel biennio 2012-2014».
A parte la previdenza, Renzi ha parlato anche dell’altro tema di attualità: la riforma della scuola. Per cambiarla, bisogna «vincere un po’ di tabù»: «La rivoluzione della scuola e dell’università è rimettere al centro il merito – afferma – sono contento della discussione sulla scuola, anche se litigano… finalmente si sta capendo che la scuola è il futuro dell’Italia».
Infine, dal premier una stoccata ad alcune Regioni: «In Lazio, Piemonte, Liguria, Abruzzo hanno portato l’addizionale al livello massimo – afferma – Loro volevano alzare il tasso dell’addizionale, ma noi abbiamo messo una forchetta». Accusa che ha fatto infuriare il governatore del Lazio (e democratico tendenza «Ditta») Nicola Zingaretti. L’aumento dell’addizionale (che non riguarda tutti), è stato introdotto nel Lazio «perché il governo – dice il governatore – ci ha tagliato circa 725 milioni di euro di trasferimento in due anni. Se ce li restituisce, siamo pronti ad abbassare subito Irap e Irpef». È molto semplice – accusa Zingaretti – far quadrare i conti del governo centrale con tagli agli enti locali. Lo sanno fare tutti». Poi, la controreplica di Palazzo Chigi: «Non è responsabilità del presidente del Consiglio se il Lazio, a differenza di quasi tutte le altre Regioni, ha aumentato le tasse. È invece responsabilità del presidente del Consiglio, e della maggioranza, avere inserito una norma ad hoc per il Lazio per evitare il fallimento della Regione, causato dai debiti delle precedenti amministrazioni».
La Stampa – 10 maggio 2015