Carlo Calenda, 43 anni, è il nuovo ministro dello Sviluppo economico. Lo ha annunciato ieri sera il premier Matteo Renzi. Dopo quaranta giorni viene così coperta la casella lasciata libera da Federica Guidi, dimessasi per lo scandalo delle intercettazioni nell’inchiesta in cui è indagato l’ex compagno.
Calenda, che solo a marzo era stato nominato rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea, rientrerà a Roma. E il ministero dello Sviluppo, dove Calenda era già stato viceministro, tornerà ad avere una guida politica dopo lo stallo. Dal dicastero di Via Veneto, infatti, non era più uscito un provvedimento. Pur essendo il ministero chiave per le politiche per la crescita. Un ministero con una dozzina di direzioni generali e un bilancio che si aggira intorno ai sei miliardi di euro. Con competenze un tempo suddivise tra tre dicasteri: Industria, Comunicazione e Commercio estero. Non un ministero di serie B funzionale solo alla lottizzazione dei partiti. Eppure per quaranta giorni impantanato. Con la legge sulla concorrenza ferma nelle commissioni parlamentari, una serie di nomine bloccate, diluito il rapporto con gli organi europei, rinviati diversi progetti, a cominciare dal Piano manifattura Italia. Ora si riparte. E sarà Calenda ad aprire a fine maggio anche le buste delle offerte vincolanti per l’acquisto o l’affitto dell’Ilva. La partita più delicata per la politica industriale del governo. E forse per lo stesso futuro industriale del Paese.
Renzi, che dello Sviluppo aveva assunto l’interim, in questo periodo non si è mai fatto vedere al ministero. Con effetti collaterali su diversi fronti. In Parlamento la legge sulle liberalizzazioni era finita nei cassetti lasciando campo libero alle varie lobby, dai notai ai farmacisti. Calenda è un liberale, e su questa materia dovrebbe tornare a scommettere. Poi il pacchetto a favore degli investimenti nelle piccole imprese (detassazione degli utili reinvestiti) nato in collaborazione con il Tesoro e che rischiava di essere elaborato solo dagli uffici del ministero di Pier Carlo Padoan i quali – proprio per missione – pensano più al contenimento della spesa che allo sviluppo. È destinato a riaprirsi in tempi rapidi anche il cantiere del Piano manifattura Italia per sostenere l’industria italiana nella riconversione digitale. Piano strategico per la competitività se si considera che la Germania ha deciso di mettere in campo 50 miliardi. Noi siamo già in ritardo. Come sulla banda larga, materia in condominio tra Mise e Palazzo Chigi ma comunque è affidata al primo la sua difesa in Europa. La Commissione, infatti, potrebbe ravvisare gli aiuti di Stato nella scelta dell’intervento pubblico per la copertura nazionale anche dove non c’è convenienza economica per i privati. Qui conterà probabilmente anche l’esperienza che Calenda può aver accumulato in questi mesi a Bruxelles. E sempre in Europa spetta al Mise la difesa da un vero grappolo di infrazioni in campo energetico.
Sotto accusa c’è, tra gli altri, il cosiddetto “decreto Passera” con gli sconti a favore delle aziende energivore (ceramica, vetro, siderurgia). La controversia va avanti dal 2014, ma se l’Italia dovesse soccombere le imprese interessate dovrebbero restituire i sostegni ottenuti. Uno scenario disastroso. Poi ci sono le crisi aziendali, oltre cento tavoli di confronto nei quali il ruolo di garanzia del ministro è fondamentale. Si pensi al caso Meridiana, per fare un esempio: era stata la Guidi a garantire alcune richieste della compagnia del Qatar disponibile a rilevare il 49 % dell’aerolinea in difficoltà. Infine le nomine sospese. Al vertice dell’Ice (Istituto per il commercio estero) andrà l’economista Marco Simoni, già nella squadra di Palazzo Chigi e ancor prima proprio in quella di Calenda al Commercio estero.
Il nuovo ministro dovrà decidere anche il prossimo consiglio di Invitalia e della Sogin, la società che si occupa della messa in sicurezza degli impianti e delle scorie nucleari. In quest’ultimo caso la nomina potrebbe coincidere con la pubblicazione dei luoghi dove ci sono i depositi. Non una scelta popolare. Anche per questo serviva un ministro.
Repubblica – 9 maggio 2016