dal Sole 24 Ore. «Questa giornata straordinaria è la risposta al vaffa day di Grillo». Ma soprattutto «se milioni di italiani sono andati a votare vuol dire che il cambiamento è necessario». È un Renzi tonico, all’attacco e pienamente consapevole del compito che ha davanti , quello che sale sul palco per festeggiare una vittoria dalle proporzioni inaspettate. E non rinuncia a calcare la mano sul cambio generazionale: «Tocca a noi che andavamo alle medie quando cascava il muro di Berlino».
E poi, subito, la stoccata contro chi credeva che dopo la sentenza della Consulta si potesse immaginare un ritorno al proporzionale puro della Prima repubblica: «Questa giornata ci ha dato la forza e l’onore di difendere il bipolarismo e di tagliare un miliardo di costi della politica». Punto. Al tavolo del governo il Pd farà contare i suoi milioni di elettori. Più che il premier Enrico Letta , è avvertito il vicepremier Angelino Alfano . Ed è l’ultima occasione, ribadisce Renzi dal palco della vittoria di Firenze mentre ringrazia i tanti elettori e i tanti volontari: «Non ce ne daranno un’altra».
Tra i due milioni e mezzo e i tre milioni di votanti ai gazebo, verso il 70% dei consensi personali (68 a tarda sera). Il successo di Matteo Renzi – incoronato a furor di popolo, è proprio il caso di dire, leader del Pd dopo l’insuccesso elettorale del partito guidato da Pier Luigi Bersani alle elezioni politiche dello scorso febbraio – va oltre ogni più ottimistica previsione. Ancora ieri la maggior parte dei sondaggisti davano l’affluenza tra il milione e 800mila e i due milioni e la soglia del 60% per Renzi a rischio.
Un fiume in piena sembra aver travolto tutte le previsioni, e di certo ne esce disproporzionato il quadro politico. Innanzitutto, il partito. Il candidato antirenziano Gianni Cuperlo, sostenuto dall’ex segretario Bersani e dall’ex premier Massimo D’Alema in nome di un’idea tradizionale di partito, è inchiodato sotto soglia 18%, inseguito da un tonicissimo Pippo Civati attorno al 14%: questo vuole dire innanzitutto che la vecchia nomenclatura è al capolinea, che il vecchio establishment è stato spazzato via, e in maniera definitiva, dal popolo democratico.
Renzi lo dice chiaro e tondo: «Non è la fine della sinistra, è la fine di una classe dirigente della sinistra». Quello che i dirigenti che hanno affrontato le scorse elezioni politiche non hanno capito prima e hanno continuato a non voler capire dopo è sotto gli occhi di tutti: la gente del centrosinistra, e più in generale la gente, vuole cambiare.
E non c’è dubbio che il rinnovamento del Pd, nelle facce e nella storia di questi tre giovani candidati (Civati e Renzi giovani davvero, Cuperlo “eterno giovane” ma pur sempre di una generazione ben al di sotto dei vecchi leader), è evidente. E davvero Renzi ha ora la responsabilità di incarnare il sogno blairiano ( come rimarcano i siti stranieri ) in un’ottica definitivamente post-ideologica, che va al di là delle identità novecentesche.
Renzi, va ricordato e lo ricorda lui stesso, è il primo segretario del Pd che per ragioni anagrafiche (classe 1975) non ha mai trovato sulla scheda elettorale i simboli del Pci e della Dc. Come dice un arguto Giuliano Ferrara commentando a caldo il risultato di questa giornata storica, Renzi è un fenomeno del tutto nuovo. E va guardato con occhiali del tutto nuovi.
Poi c’è il quadro politico, con il novello asse Berlusconi-Grillo che picchia duro dall’opposizione del governo Letta contro un sistema politico dipinto come totalmente delegittimato dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, la legge elettorale voluta proprio da Berlusconi cui è stato eletto questo Parlamento.
Guglielmo Epifani , il segretario “traghettatore” che ha gestito con equilibrio la difficilissima fase del dopo Bersani, nel dare l’annuncio dell’affluenza verso i tre milioni, ha parlato non a caso di “risposta democratica”: «Siamo andati oltre ogni previsione, c’è stata una risposta importante, una grande volontà di partecipazione. Si tratta di un rafforzamento delle nostre ragioni, una grandissima risposta democratica». Risposta democratica ai facili populismi, risposta democratica ai vari “sfascismi”. E risposta democratica in difesa del bipolarismo, come ha sottolineato in queste ore il fondatore dell’Ulivo e “inventore” delle primarie Romano Prodi, anche contro le tentazioni di ritorno alla Prima repubblica che possono essere alimentate dagli effetti giuridici dell’intervento della Consulta sulla legge elettorale (se non interviene, il Parlamento il famigerato Porcellum si trasforma nel proporzionale puro con preferenza della Prima Repubblica).
Prodi ha senz’altro (ce lo diranno i sondaggisti) contribuito a portare alle urne molti elettori delusi con la sua scelta last minute di partecipare nonostante l’affossamento subito in Parlamento per mano dei “101 traditori”. E mentre votava al seggio quello che ormai si conferma come il vero padre fondatore del Pd ha invitato tutti all’unità: «Occorre un segretario forte che esca dal voto popolare e che abbia però l’intelligenza e la generosità di collaborare con gli altri due protagonisti, e in modo simmetrico gli altri due capiscano che c’è un interesse generale in gioco – è l’appello del Professore, che ha vissuto sulla sua pelle le divisioni -. Se il Pd si dimostra non rissoso e unito, con un programma comune studiato, discusso e approfondito, non può che vincere; altrimenti non può che perdere».
Gianni Cuperlo, parlando prima di Renzi a commento del risultato, rassicura il Professore e il nuovo leader: non ci sarà scissione: «Renzi sarà il segretario di tutti, c’è un tempo nuovo da vivere e noi ci saremo». Infine, ed è il tema più importante, il governo. Prima ancora del discorso di Renzi Letta, chiuso nel suo ufficio per preparare il discorso della fiducia di mercoledì prossimo, ha fatto uscire una nota in cui si conferma la convinzione, non di oggi, che la strada della collaborazione è necessaria e obbligata: «Con il nuovo segretario Matteo Renzi lavoreremo insieme con uno spirito di squadra che sarà fruttuoso, utile al Paese ed al centrosinistra».
La strada della collaborazione tra i due leader di fatto del Pd – e noi lo scriviamo fin dall’aprile scorso – è obbligata e utile a entrambi. Ma certo, dopo il voto dell’Immacolata il rapporto di forza è cambiato. Vero che la sentenza della Consulta ha di fatto congelato il quadro politico (chi ha interesse, ora, a precipitare verso le urne in primavera col proporzionale puro? Certo non Renzi), ma è anche vero che ora Renzi ha la golden share per imporre l’agenda del Pd all’interno del governo. Ma questo non può che far gioco a Letta, che al di là dei facili retroscena è e resta un uomo del Pd, cresciuto nell’Ulivo di Prodi e convinto bipolarista. Con un Renzi leader fortemente legittimato dai gazebo anche Letta ha tutto da guadagnare nella dialettica interna al governo: imporre una legge elettorale maggioritaria che favorisce il Pd e portare a casa, anche in vista delle elezioni europee, l’ormai famoso superamento del bicameralismo perfetto con l’abolizione del Senato e il taglio del numero dei parlamentari conviene ad entrambi.
Se lo schema del centrosinistra futuro è – come questa giornata di partecipazione polare sembra indicare -la futura premiership per Renzi e un ruolo istituzionale (in Europa in primis ma anche in Italia, tenendo conto che nel 2016 Letta avrà l’età per salire al Quirinale), sia Renzi che Letta hanno interesse a lavorare per il successo del Pd alle prossime elezioni politiche. Non è un caso che, proprio nelle ore in cui si cominciava a profilare il successo di Renzi ai gazebo, tra i conversari dei parlamentari vicini a Letta tornava a primeggiare il doppio turno di collegio (fortemente maggioritario rispetto al doppio turno di coalizione rilanciato da Angelino Alfano). Ecco, dopo le primarie dell’Immacolata la collaborazione tra i due non solo è obbligata, ma è conveniente. Il destino personale e politico di entrambi passa dal successo del Pd alle prossime elezioni politiche.
Il Sole 24 ore – 9 dicembre 2013