di Amedeo Di Filippo. Continua l’attacco all’articolo 53 del Dlgs 165/2001 che regola le incompatibilità, il cumulo di impieghi e gli incarichi dei dipendenti pubblici. Dopo due incursioni fallite, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 98/2015 ha dichiarato l’illegittimità del comma 15 nella parte in cui prevede che gli enti pubblici economici e i soggetti privati che conferiscono incarichi retribuiti e omettano di comunicare all’amministrazione di appartenenza l’ammontare dei compensi erogati incorrono nella sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti.
La decisione
Con la sentenza n. 98, la Consulta prende in esame la denuncia di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Ancona, secondo cui le disposizioni dell’articolo 53, comma 15 sono gravate da eccesso rispetto alla legge di delega che non conteneva alcuna indicazione circa la possibilità di introdurre sanzioni amministrative pecuniarie per l’inosservanza dei previsti obblighi di pubblicità degli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti e di comunicazione dei relativi compensi. Le disposizioni della delega, inoltre, non sarebbero state interpretate secondo il criterio della ragionevolezza, sia per la previsione di una doppia sanzione, sia perché le esigenze di buon andamento, trasparenza e compatibilità dell’incarico privato con l’impiego pubblico sarebbero garantite già dalla necessità di ottenere la previa autorizzazione, ponendosi l’obbligo aggiuntivo della comunicazione dei compensi come un mero adempimento accessorio. Rifacendosi alla legge delega 59/1997, al Dl 79/1997 convertito dalla legge 140/1997 e al Dlgs 80/1998, la Corte costituzionale avalla in toto la tesi del giudice, rilevando come il quadro normativo preveda l’applicazione di sanzioni nei confronti di coloro che avessero omesso di comunicare alle amministrazioni di appartenenza gli incarichi conferiti a pubblici dipendenti, ma non sanziona in alcun modo la mancata comunicazione dei compensi erogati.
Gli effetti
La sentenza ridisegna in parte limitata l’architettura dell’articolo 53. La Consulta ha infatti eliminato la sola sanzione pecuniaria, pari al doppio degli emolumenti corrisposti, posta a carico di enti pubblici e soggetti privati che omettano di comunicare all’amministrazione di appartenenza l’ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici, entro quindici giorni dall’erogazione. Resta comunque a carico di questi soggetti l’onere, previsto dal comma 11, di comunicare entro lo stesso termine l’ammontare dei compensi erogati. Così come resta la “sanzione” nel caso di omissione di questo adempimento, prevista dal comma 15: «Non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono». Rimane inoltre integro il comma 9 che, nel caso di inosservanza del divieto di conferire incarichi senza autorizzazione, rinvia all’articolo 6, comma 1, del Dl 79/1997, con l’applicazione della medesima sanzione pari al doppio degli emolumenti corrisposti. All’accertamento delle violazioni e all’irrogazione delle sanzioni provvede il ministero dell’Economia avvalendosi della Guardia di finanza.
I precedenti
Con l’ordinanza n. 41 del 17 marzo 2015, la Consulta ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 53, comma 7, del Testo unico sul pubblico impiego, nella parte in cui prevede che i compensi percepiti dai dipendenti per incarichi non autorizzati devono essere versati, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel bilancio dell’amministrazione e destinati al fondo di produttività. Questione sollevata dal Tar Puglia e non avallata dalla Corte perché proposta in una doppia e “irrisolta” prospettiva interpretativa, ciascuna orientata a un proprio petitum, a una differente soluzione decisoria e a parametri costituzionali diversi. Conla successiva ordinanza 26 maggio 2015, n. 90, i giudici costituzionali si sono nuovamente pronunciati sull’articolo 53, comma 7, del Dlgs 165/2001, dichiarando ancora manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Stessa fonte di attacco, il Tar Puglia, cui si è aggiunto il Tribunale di Bergamo, secondo cui la disciplina che impone al dipendente l’obbligo di restituire automaticamente all’amministrazione i compensi percepiti per incarichi extra privi della prescritta autorizzazione si pone in contrasto con l’articolo 36, primo comma, della Costituzione, che prevede il diritto alla retribuzione per il lavoro prestato; con gli articoli 1, 2 e 3, in quanto l’automatismo della previsione contrasta col principio costituzionale di proporzionalità e modulazione delle sanzioni; e con l’articolo 97, perché prescinde dall’apprezzamento del danno per la Pa, determinando per essa un ingiustificato arricchimento, di dubbia compatibilità con il principio di imparzialità e buon andamento. Nell’esame del ricorso, la Corte costituzionale si è fermata al problema della giurisdizione, evidenziando come, a norma del comma 7-bis dello stesso articolo 53, l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale, soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti e non del giudice ordinario né di quello amministrativo.
Il Sole 24 Ore – 9 giugno 2015