Repubblica. Pali di legno conficcati ogni paio di metri nel terreno e una rete di metallo alta un metro e mezzo srotolata a mano un pezzo alla volta. Difficile dire, di questo passo, quanto ci vorrà per completare i 130 chilometri di recinzione che, unita alla barriera già esistente creata dalle tre autostrade che corrono tra Piemonte e Liguria, crea un perimetro di 260 chilometri per isolare i 114 comuni toccati dal morbo della peste suina africana, che conta ad oggi 83 casi tra i cinghiali in Piemonte e 53 in Liguria e minaccia gli allevamenti di suini. I casi in totale sono 136
«Non è mica il muro di Berlino — mette in chiaro il commissario straordinario Angelo Ferrari, che sta seguendo l’emergenza sanitaria —. Si può pensare di modularla a seconda delle esigenze che ci evidenzieranno gli epidemiologi». Non sarà una blindatura, si può ben vedere: le reti si interromperanno con dei cancelli per garantire l’accesso a proprietà private, ma potranno anche interrompersi all’altezza di strade e paesi. E di fronte alle perplessità di chi vede la nuova strutturatroppo fragile per fermare gli ungu-lati, Ferrari ribatte: «Reti come queste servono a contenere gli animali, non sono fatte per sopportare un’onda d’urto, ma sono state studiate dai nostri tecnici sulla falsariga di quelle usate in Belgio».
Dopo 6 mesi dal primo animale trovato morto per peste suina a Ovada da un cantoniere — «Non serve neanche il test, i cinghiali malati perdono sangue e liquidi, fanno rabbrividire », dicono da quelle parti — questa è l’offensiva messa in campo per arginare l’emergenza del virus che nei giorni scorsi ha colpito anche il Lazio. Quando la recinzione inizierà a prendere forma, inizierà il piano di abbattimento che si stima possa interessare 50 mila cinghiali. Nel frattempo è stato dato il via libera al depopolamento degli ungulati anche fuori dalla “zona rossa”. Si tratta di una misura fortemente auspicata dalle associazioni di categoria, per proteggere un settore — quello dell’allevamento di suini — che dà lavoro a centomila persone con un fatturato che vale 20 miliardi.
«Abbiamo due emergenze da affrontare. Una è quella di arginare la diffusione del virus ed è utile creare zone di contenimento, ma contemporaneamente dobbiamo mettere in sicurezza tutti i nostri allevamenti e per questo ho dato parere favorevole al decreto sulle biosicurezze», ha spiegato il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, chiarendo che «per questa emergenza sono stati finora stanziati 50 milioni di euro: 10 per le reti di recinzione, 25 per i ristori alle aziende e 15 per adeguare le aziende alla prevenzione dal contagio». C’era anche Costa ieri, assieme agli assessori regionali del Piemonte Fabio Carosso e Marco Protopapa — per la posa del primo pezzo di rete, che è stato innalzato lungo il “sentiero dei partigiani”, un bricco a 800 metri sulle colline di Ponzone, nell’Alessandrino, panorama di boschi in cui il confine tra Liguria e Piemonte sparisce. «Ma per noi la distinzione è chiarissima — attacca Barbara Volpara, titolare di un’azienda agrituristica venatoria a Pareto — La mia attività è chiusa, mentre sull’altro versante tutto è ripartito». Per contenere la diffusione della peste suina, infatti, sono state bloccate in un primo momento tutte le attività all’aria aperta, comprese le passeggiate nei boschi, per evitare di portare qua e là i microrganismi. Ma mentre in Piemonte sono state appena concesse le passeggiate lungo i sentieri tracciati, in Liguria sono state riaperte tutte le attività ricreative outdoor, buona fonte di reddito per chi vive di turismo in queste zone. «Tra pochi giorni qui inizieranno a nascere i funghi», si preoccupano in zona. E gli amministratori locali interpretano i sentimenti della loro gente. «Non potevo oppormi a una decisione presa a livelli più alti — dice Fabrizio Ivaldi, sindaco di Ponzone —. Ho chiesto però che vengano tenuti da parte dei fondi per la manutenzione delle reti: dovranno stare qui almeno per qualche anno e non vorrei vederle tra qualche tempo rotte o invase dai rovi».