Retribuzioni. Studio Umana: l’anzianità vale più del merito. Il differenziale maggiore tra gli under 34 e quelli tra 35 e 54. Il Generation gap può pesare da un minimo di 8.300 a 20mila euro
In Italia le retribuzioni sono legate in modo rigido all’età anagrafica, tanto che l’anzianità costituisce di per sé un premio per il lavoratore – nei contratti collettivi lo stipendio cresce con gli anni – senza tenere conto della effettiva necessità di potere d’acquisto di ciascuna fascia anagrafica. È la conclusione di una analisi realizzata da Umana in collaborazione con JobProcing su un campione di 140mila lavoratori assunti con forme di lavoro dipendente nei diversi settori: sotto la lente la Ral (retribuzione annuale lorda), escluse le parti variabili.
La composizione del mercato del lavoro vede per la prima volta tre generazioni attive contemporaneamente: i Baby boomers (nati fra il 1946 e il 1964, over 55); la Generazione X (fra il 1965 e il 1980, dai 35 ai 54 anni) e la Y (dal 1981 al 2000, quindi persone fra i 15 e i 34 anni). «Rispetto al passato – si legge nell’indagine – oggi si entra nel mercato del lavoro più tardi e si termina la carriera in età più avanzata. I momenti di inizio e fine carriera hanno subito uno slittamento in avanti di 10-15 anni».
Dal report emerge il Generation Gap, ovvero il differenziale di retribuzione per medesima posizione o settore di impiego in rapporto alle diverse generazioni. Un fenomeno che si spiega con la legislazione contrattuale (scatti di anzianità), l’esperienza accumulata in carriera che consente di svolgere ruoli più complessi e il peso attribuito dalle aziende all’esperienza stessa (a lavoratori anziani maggiore retribuzione anche a parità di ruolo con un giovane). L’andamento della Ral vede la Generazione Y a 24.233 euro, che salgono a 29.867 per la X e a 32.704 per i Baby boomers: i valori medi nella fase di ingresso e quelli in uscita mostrano un gap significativo, che pesa per oltre il 60 per cento. Lo scalino maggiore è quello fra le generazioni X e Y. Sullo sfondo c’è la Direttiva europea 78 per la parità di trattamento in materia di lavoro, che vieta la discriminazione basata sull’età (con alcune eccezioni). Di fatto, il Generation Gap non è popolare come il Gender Gap.
Sul fronte delle retribuzioni, questa differenza legata all’età risulta presente in tutti gli inquadramenti, ma con notevoli differenze. Gli impiegati under 35 ad esempio guadagnano sensibilmente meno dei loro colleghi più anziani. Fra un operaio della Generazione X e uno della Y l’aumento della Ral media può portare a uno scarto di 2.400 euro lordi all’anno, mentre in termini assoluti fra un quadro a inizio carriera e uno in fase conclusiva lo scarto arriva a oltre 8.300 euro, e fra i dirigenti ci sono oltre 20mila euro di differenza. La forbice retributiva è maggiore nel settore dei servizi finanziari, minore nell’agricoltura, dove un percorso di carriera non determina aumenti significativi.
«Il sistema italiano – dice Maria Raffaella Caprioglio, presidente Umana – sembra premiare l’esperienza, rischiando di penalizzare le risorse più giovani. Si sono compiuti passi avanti verso la modernizzazione del lavoro, ma molto ancora si può fare per limitare il Generation Gap a una dimensione fisiologica, in linea con quasi tutti gli altri Paesi europei. Credo si debba lavorare molto sulla contrattazione di secondo livello, prestando maggiore attenzione al merito, alle competenze e ai giovani che si affacciano a un mondo del lavoro ».
Barbara Ganz – Il Sole 24 Ore – 3 ottobre 2015