Un recentissimo pre-prints “postato” su https://www.medrxiv.org/da parte di ricercatori dei Paesi Bassi, dimostra la suscettibilità dei conigli New Zealand all’infezione virale, mediante inoculazione intranasale, senza che si sviluppi una apprezzabile sintomatologia clinica, mentre le cariche infettanti sono rilevabili nei secreti ed escreti fino a 21 giorni dopo infezione. Tale lavoro conferma le ipotesi modellistiche già rappresentate in un precedente redazionale su questo sito: in base alle conformazioni della proteina spike del virus, con particolare riferimento al Receptor Binding Domain e del recettore ACE2 specie specifico, si proponeva il coniglio come specie suscettibile all’infezione.
Da notare che la suscettibilità all’infezione in una specie animale non necessariamente comporta una manifestazione clinica, soprattutto se il virus non è completamente adattato alla specie ospite, ovverossia il sistema immunitario dell’ospite non sviluppa una risposta infiammatoria tale da essere apprezzata clinicamente. Nel pre-print in allegato, tuttavia, le lesioni istologiche a livello polmonare e la presenza appunto di carica virale depongono per il coniglio quale potenziale serbatoio dell’infezione, anche se le evidenze di una trasmissione agli animali non inoculati sono al momento deboli, specie se si considera la differenza tra specie di laboratorio e specie di allevamento.
Il coniglio è la seconda specie allevata in Europa, con i problemi di benessere animale connessi alle razze a rapida crescita, al sistema di allevamento. Tali interferenze è noto si riflettono sullo sviluppo di immuno-competenze. Per questi motivi, una attivazione di un piano di sorveglianza attiva della presenza virale negli allevamenti di conigli non può essere sottovalutata, sostenuto da prove sperimentali in condizioni di allevamento.
Inoltre il coniglio a tutti gli effetti è un pet che può entrare in stretto contatto con le persone in ambiente domestico. Si pone quindi il duplice aspetto di sanità animale e di igiene urbana veterinaria, già affrontato per le evidenze che riguardano i furetti e i criceti, tra i pets. In questi ultimi, lo sviluppo di una forma clinica avviene dopo 5-7 passaggi ciechi.
Il pre-print, anche se non ha i crismi di una pubblicazione “peer reviewed”, tuttavia ha il merito di rappresentare uno stimolo alla “preparedness” in termini di sorveglianza attiva. Sono già stati sviluppati saggi diagnostici sierologici specifici e sensibili per rilevare la presenza di anticorpi Sars-CoV-2 negli animali di affezione e di interesse zootecnico, senza che siano riportate cross-reattività con le risposte anticorpali da coronavirus strettamente animali.
Tale preparedness è già stata messa alla prova in contesti di allevamento intensivo nei visoni, con importanti casi esteri in cui le indagini epidemiologiche e molecolari hanno dimostrato il contagio dall’animale all’uomo. Al momento, non si hanno notizie delle attività di vigilanza poste sugli allevamenti di visone in Italia dai servizi veterinari, attività richiamate da una recente circolare ministeriale indirizzate a Regioni e Province Autonome. E’ bene ricordarsi che Sars-CoV-2 è un agente zoonosico molto plastico, con la produzione di quasispecie che possono avere maggiore capacità adattativa e differente patogenicità nei differenti ospiti, quanto più la circolazione virale è sostenuta nel territorio.
Il tranquillizzare il consumatore rispetto alla assenza di evidenze sulla trasmissione alimentare in tali contesti risulta quantomeno riduttivo di una problematica zoonosica ben più ampia, e che soprattutto deve essere sostenuta da attività di sorveglianza attiva orientate sul rischio, con metodi e risultati condivisi e resi pubblici.
Scarica il pre-print:
Susceptibility of rabbits to SARS-CoV-2
(riproduzione ammessa solo citando la fonte – testo raccolto a cura della redazione)
1 settembre 2020