Tribunali in ordine sparso sulla riforma Fornero. Il Tribunale di Ravenna, sezione lavoro, afferma con ordinanza del 18 marzo 2013 che la modulazione del regime di tutela, reale o indennitaria, da applicare in presenza di un licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo non può prescindere, neppure a seguito dell’intervento riformatore dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori disposto dalla legge 92/2012, dal principio di proporzionalità.
A parere del Giudice ravennate, in questo senso, la conferma della sussistenza del fatto contestato al lavoratore non è idonea a privare il lavoratore medesimo del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, se il comportamento oggetto dell’addebito in sede disciplinare non è ritenuto grave.
Ritiene il tribunale di Ravenna, in altri termini, che la reintegrazione in servizio ex articolo 18 Statuto dei lavoratori, pur nella sua riformulazione ad opera della Legge Fornero, che ha operato una netta differenziazione tra ipotesi in cui è prevista la tutela reale e altre in cui è accordata una tutela indennitaria, va garantita, a prescindere, quando, sulla base di un giudizio di proporzionalità, gli addebiti posti a base del licenziamento disciplinare, anche se sussistenti sul piano operativo e fattuale, non sono sufficientemente gravi da legittimare il recesso datoriale per giusta causa.
Il nuovo articolo 18, comma 4, Statuto dei lavoratori stabilisce che il giudice dispone la reintegrazione in servizio del dipendente illegittimamente licenziato per ragioni disciplinari solo se viene accertata la insussistenza del fatto contestato o la presenza di una clausola del contratto collettivo che punisce il fatto contestato con una sanzione conservativa. In tutte le altre ipotesi, alla luce della nuova formulazione, alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare consegue il versamento di un indennizzo risarcitorio graduato tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità.
Il Tribunale di Ravenna fornisce una interpretazione in senso ampiamente garantista e favorevole per la cosiddetta “parte debole” del rapporto di lavoro, sostenendo che si ha insussistenza del fatto contestato solo se il comportamento inadempiente ascritto al lavoratore, benché accertato nella sua componente materiale, non ha una rilevanza giuridica qualificata. Così, si afferma che, nella scelta tra reintegrazione o indennizzo risarcitorio il giudice investito della controversia non può limitarsi al mero fatto ipotizzato e contestato dal datore di lavoro. Deve invece esaminare lo stesso fatto in relazione alla nozione di giusta causa, per valutare, quindi, se il comportamento sanzionato integra gli estremi della lesione irreparabile del vincolo fiduciario. Non ricorrendo quest’ultima condizione, a parere del Tribunale di Ravenna, il fatto contestato risulta per ciò stesso insussistente, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione.
Nello specifico, il lavoratore, addetto alle pulizie di un’impresa del settore industria, era stato accusato di aver sottratto un paio di scarpe antinfortunistiche e di averle, quindi, successivamente consegnate di nascosto ad una lavoratrice dell’impresa appaltatrice che operava all’interno del medesimo stabilimento industriale. La ricostruzione del fatto nella sua componente materiale era stata confermata in sede giudiziale, ma il giudice ravennate ha ritenuto che non ci sono presupposti per attribuire all’episodio una particolare rilevanza disciplinare.
La decisione si inserisce nel solco di quell’orientamento, (Tribunale di Bologna con ordinanza del 15 ottobre 2012), secondo cui la previsione normativa del nuovo articolo 18 Statuto dei lavoratori farebbe riferimento al fatto giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato nella sua componente oggettiva e nella sua componente soggettiva, con specifico riferimento al contesto ambientale in cui ha agito il lavoratore. In senso contrario, si è espresso un altro indirizzo della giurisprudenza di merito, il cui esito più recente è costituito da una ordinanza del tribunale di Voghera (si veda Il Sole 24 Ore di martedì 30 aprile) che ha affermato la tesi contrapposta per cui, se il fatto materiale oggetto di contestazione risulta essersi, comunque, verificato, il suo modesto peso disciplinare, in ipotesi di accertata illegittimità del licenziamento per assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, autorizza unicamente l’applicazione del regime di tutela indennitaria.
L’ORDINANZA
A maggior ragione, poi, la reintegra si applicherebbe nel caso in esame commisurando (come sembra più pertinente) la sanziona alla portata dell’illecito commesso dall’autore; e perciò, in base alla perdurante applicazione del principio di proporzionalità che ancora mantiene un ruolo fondamentale in materia; tanto più perché nel caso in esame lo stesso codice disciplinare demanda all’interprete di modulare ogni sanzione anche tipizzata «secondo la gravità dell’infrazione».
La questione del ruolo mantenuto dal principio di proporzionalità all’interno del nuovo apparato di tutela appare dunque più articolata di quanto possa essere sembrato persino in sede legislativa al momento della redazione dell’emendamento espulsivo sull’articolo 2106 del Codice civile dal corpo del testo di riforma dell’articolo 18. Infatti, in primo luogo va considerato come la stessa previsione di legge, prescrivendo che dinanzi a un fatto tipico punito lievemente (da contratti collettivi o da codici disciplinari) il giudice debba applicare la reintegra, renda evidente come il giudizio di proporzionalità abbia mantenuto ancora il suo valore essenziale nella scelta della stessa tutela. Per disposizione della legge quindi il giudice applica la reintegra quando il fatto tipico è punito lievemente (da contratti collettivi o codici disciplinari).
Il Sole 24 Ore – 7 maggio 2013