Le nuove regole dovevano divenire operative nel 2014 poi si è optato per slittare al 2015. Ora potrebbe scattare un ulteriore rinvio. Una riforma talmente complessa da risultare, letteralmente, inapplicabile. Il primo vero banco diprovaperilneocommissarioall’Agricoltura Phil Hogan è la richiesta di posticipare di un anno il cuore della nuovissima riforma Pac: i vincoli ambientali che per le aziende sono ancora un rebus.
Si doveva partire nel 2014, poi il realismo (e la mancanza di accordi) hasuggeritodiposticiparel’intera riforma al 2015 ma ora dall’Europarlamento arriva, a un mese dal via, la richiesta di un’altra proroga. Perorasitrattadiun’iniziativa circoscritta alla commissione Agricoltura del Parlamento europeo, dove i coordinatori dei maggiori gruppi politici hanno lanciato un appello al commissario per rinviare l’intero capitolo degli aiuti ambientali, il cosiddetto greening, al 2016. Un capitolo contestatissimo destinato a creare problemi non solo agli agricoltori, ma anche alle amministrazioni nazionali chiamate ad applicare regoletroppocomplesseediversificate(ivincolicambianoinbasealle dimensioni aziendali) che «in molti Stati membri stanno creando confusione e rischiano di danneggiare pesantemente l’agricoltura europea, già duramente provata», spiega l’italiano Paolo De Castro, ex presidente della commissione Agricoltura ora coordinatore dei socialisti e tra i firmatari della lettera a Hogan.
Sostanzialmente il greening vincola il 30% dell’intero budget nazionale al rispetto di determinate regole sulla diversificazione. Non una sana rotazione colturale, ma un generico, e secondo molti ingiustificato, obbligo di non coltivare un solo prodotto, ma due o tre con il crescere delle dimensioni aziendali. Inoltre impone alle aziende di sottrarre alla produzione il 5% (e in futuro il 7%), dei terreni per destinarli a opere con valenza ambientale o paesaggistica.
Un vincolo che secondo un documento di lavoro del ministero delle Politiche agricole «potrebbe minare la competitività di un modello agricolo intensivo e differenziato come quello italiano e in particolare delle aziende dedicate all’agricoltura specializzata, che in certi casi si troverebbero a dover sostenere costi superiori al valore dello stesso pagamento verde». Le perplessità riguardano anche il merito delle misure: la diversificazione potrebbe rivelarsi addirittura controproducente, dato che la coesistenza di almeno due o tre colture nella stessa azienda non basta ad assicurare un miglioramento agronomico-ambientale. Un agricoltore che oggi ruota annualmente una singola coltura, ad esempio mais o soia, su tutta la superficie dellapropriaaziendasicomporta in modo virtuoso sotto il profilo agronomico e ottiene anche un ingrediente base dell’alimentazione degli allevamenti per la produzione del latte e della carne. Per rispettare la diversificazione eaccedereallacomponentegreening potrebbe riproporre ogni anno tre mono-colture sulle stesse particelle e così generare un danno anziché un vantaggio in termini ambientali.
Il Sole 24 Ore – 29 novembre 2014