Il limite del fatturato medio per il taglio delle partecipate resta fissato in un milione di euro nei tre anni precedenti. Nel testo della riforma Madia sulle società partecipate che il Governo si appresta ad adottare definitivamente nel prossimo consiglio dei ministri non è previsto il passo indietro chiesto a suo tempo dal Parlamento, che aveva spinto per un dimezzamento a 500mila euro della soglia minima. Non solo.
Altra condizione parlamentare non recepita dall’Esecutivo è quella che voleva escludere del tutto dalle nuove regole sulla composizione del cda e sul divieto di stipula dei patti di non concorrenza le società nelle quali l’affidamento fosse avvenuto con gara. L’eventuale esenzione sarebbe stata contraria alla ratio del decreto attuativo, che esclude che le società in partecipazione pubblica svolgano attività d’impresa in assenza di un interesse pubblico e in regime di mercato. Inoltre la deroga finirebbe per applicarsi a un gran numero di società a controllo pubblico, e, tendenzialmente, a tutte le società miste (dove la gara a doppio oggetto è già obbligatoria).
Nonostante queste indicazioni rispedite al mittente, restano molte le condizioni e le osservazioni (gestione del personale, controlli e criteri di individuazione delle società da alienare), accolte dal Governo nel testo definitivo sulle società pubbliche che, come promesso dalla ministra della Pa e delle semplificazioni Marianna Madia, sarà legge prima della fine dell’estate. Dovrebbero essere almeno 5mila le società che finiranno nella tagliola della riforma. “Fuorilegge”, prima di tutto, diventano le partecipazioni in società che non si occupano di attività necessarie ai fini istituzionali dell’ente proprietario oppure che non lavorano per servizi di interesse generale, opere pubbliche, attività strumentali all’ente o supporto al non profit. I piani di razionalizzazione, poi, dovranno rilevare le partecipate che non rientrano nelle categorie indicate dal nuovo testo unico, le società che hanno più amministratori che dipendenti, quelle che svolgono attività uguali o simili a quelle di altre partecipate e, appunto, le aziende che, nel triennio precedente, non abbiano raggiunto il milione di euro nel fatturato medio. Fuori dai servizi generali, poi, finiscono nel mirino le aziende che hanno chiuso in perdita quattro degli ultimi cinque anni.
Una deroga inserita per venire incontro alle richieste della Conferenza unificata salva le finanziarie regionali, inserite nell’elenco delle realtà escluse dalla riforma insieme a una serie di partecipate statali come Anas, Invitalia, Coni servizi, Invimit, Sogin e il Poligrafico. Sono fatte salve anche le fiere e le aziende che gestiscono funivie.
Le tappe della riforma saranno comunque due. Entro febbraio del 2017 (sei mesi dall’entrata in vigore della riforma) gli enti dovranno scrivere il piano con l’alienazione, la vendita o l’aggregazione delle società fuori regola, e le misure scritte nel piano avranno un anno di tempo per essere attuate. Sempre entro sei mesi, le aziende pubbliche dovranno effettuare il censimento straordinario del personale per individuare gli esuberi. Dal 2018 partiranno invece le revisioni ordinarie, pensate per evitare che dopo il taglio imposto dalla riforma la «giungla» delle partecipazioni torni a formarsi.
Per quel che riguarda gli esuberi, saranno poi le regioni a formare e gestire l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti cercando prima di tutto di agevolare processi di mobilità in ambito regionale. Trascorsi altri sei mesi dalla scadenza del termine per l’indicazione delle «eccedenze» le regioni dovranno trasmettere gli elenchi dei lavoratori non ricollocati all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.
Insieme alle partecipazioni, la riforma punta ovviamente a sfoltire anche il panorama degli amministratori. Viene introdotta, prima di tutto, la regola dell’amministratore unico, per cui la presenza di un consiglio di amministrazione dovrebbe diventare un’eccezione motivata da ragioni di «adeguatezza organizzativa» in base a parametri che saranno fissati con un decreto di Palazzo Chigi. Nuovi limiti vengono imposti anche ai compensi:?entro un mese dall’entrata in vigore dovranno finalmente vedere la luce le cinque fasce di compensi massimi, articolate sulla base delle dimensioni e della complessità dell’azienda, che già la manovra 2016 aveva previsto. Vietate le buonuscite e il riconoscimento della parte variabile del compenso quando la società è in perdita per ragioni «attribuibili alla responsabilità dell’amministratore» .
Marco Mobili e Gianni Trovati – 9 agosto 2016