Le amministrazioni pubbliche e i gestori di servizi pubblici devono rendere il loro assenso, nulla osta o atto di concerto entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento su cui debbono esprimersi, ma possono interrompere i termini solo esplicitando in dettaglio le loro esigenze istruttorie.
Il nuovo articolo 17-bis della legge n. 241/1990 (introdotto dall’articolo 3 della legge 124/2015) non consente più ai soggetti pubblici ai quali è richiesta l’espressione di un consenso su un atto amministrativo di dilatare i tempi di risposta, obbligandoli a specificare le ragioni che richiedono un approfondimento istruttorio.
La disposizione disciplina la gestione nell’ambito del procedimento dei nulla osta, degli assensi e degli atti di concerto, distinguendola chiaramente da quella dei pareri e da quella delle valutazioni tecniche (regolate rispettivamente dagli articoli 16 e 17 della legge 241/1990).
Le amministrazioni pubbliche (in particolare gli enti locali) devono quindi adeguare le loro eventuali disposizioni regolamentari alla nuova previsione e, in caso di confliggenza, disapplicare la norma regolamentare, se essa determina minori garanzie rispetto a quanto stabilito dall’articolo 17-bis, vigente dal 28 agosto.
Per evitare equivoci è necessario che le amministrazioni rilevino all’interno dei procedimenti le tipologie di nulla osta, nonché di atti di assenso e di concerto che devono essere rilasciati da altre amministrazioni o da soggetti gestori di servizi pubblici sulla base di disposizioni di legge o regolamentari, al fine di evitare confusione con i pareri e con le valutazioni tecniche, ma anche per analizzare compiutamente i passaggi sub-procedimentali che possono permettere l’utilizzo del silenzio-assenso (una volta scaduto il termine di trenta giorni).
Qualora l’amministrazione pubblica o il soggetto gestore di servizi pubblici chiamati a rilasciare il nulla osta o gli atti similari rappresentino esigenze istruttorie o richieste di modifica, le devono motivare e formulare in modo puntuale entro lo stesso termine di trenta giorni.
La disposizione prevede in questo caso l’interruzione del termine e pertanto l’amministrazione procedente deve elaborare tempestivamente gli elementi istruttori richiesti e il nuovo schema di provvedimento, poiché dal ricevimento di questi da parte dell’amministrazione o del soggetto gestore che deve rendere il nulla osta o atto similare decorrono nuovamente i trenta giorni.
In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini.
Il silenzio assenso (previsto dal comma 2 dell’articolo 17-bis) si applica sia in caso di decorso del termine ordinario sia in caso di decorso del termine ricalcolato dopo l’interruzione per approfondimenti istruttori.
I termini sono modulati in novanta giorni (salvo che disposizioni di legge specifiche non stabiliscano tempistiche diverse) quando i nulla osta nonché gli atti di assenso o di concerto devono essere resi da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche: se tali termini decorrono senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.
Anche in tal caso gli enti responsabili dei procedimenti devono ricomporre dettagliatamente il quadro normativo, in modo tale da rilevare l’effettivo collegamento tra l’atto di assenso e uno dei particolari interessi pubblici preminenti.
Le previsioni dell’articolo 17-bis non si applicano invece quando normative comunitarie richiedano l’adozione di provvedimenti espressi.
Il silenzio assenso indirizza le pratiche allo sportello unico. Dopo la riforma della pubblica amministrazione. Iter più veloce per gli interventi su beni vincolati
Con la riforma della Pa, che ha portato con sé la semplificazione del silenzio assenso tra le pubbliche amministrazioni, prima di rivolgersi a un ufficio pubblico per un intervento edilizio gli operatori e i cittadini dovranno fare attente valutazioni.
La legge 124/2015, in vigore dallo scorso 28 agosto, prevede all’articolo 3 un meccanismo di silenzio assenso che matura in 30 giorni (90 in materia di beni culturali, paesaggistici e ambientali, ma salva la previsione di altro termine da parte della disciplina di settore) dalla richiesta di una amministrazione a un’altra, anche preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale e dei beni culturali. Questo meccanismo non è previsto sulle domande dei privati.
Ora quando deve avviare un intervento edilizio il cittadino ha di fronte a sé due strade. La via maestra è quella di rivolgersi allo Sportello unico per l’edilizia. Va in questo senso, l’articolo 5, comma 1-bis, del Testo unico dell’edilizia, per cui «lo sportello unico per l’edilizia costituisce l’unico punto di accesso per il privato interessato in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e l’intervento edilizio oggetto dello stesso» . In pratica, ci pensa il Comune a rivolgersi alla Soprintendenza o alla diversa amministrazione coinvolta nella tutela del vincolo. Lo sportello unico – prosegue la norma «fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte», acquisendo «gli atti di assenso, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico».
Le cose però non funzionano sempre così: a volte gli interessati (soprattutto se l’intervento è su un bene vincolato) scelgono l’altra strada e si rivolgono direttamente in Soprintendenza o presso le altre amministrazioni titolate per risolvere i profili di tutela dei valori vincolati, prima di presentare al Comune il progetto edilizio.
Questa soluzione è ancora possibile? Stando alla lettera del comma 5-bis parrebbe di no, anche perché secondo il nuovo comma 7-bis «le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune, che sono interessate al procedimento sono tenute a trasmettere immediatamente allo sportello unico per l’edilizia le denunce, le domande, le segnalazioni, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati», con la conseguenza che la domanda di nullaosta presentata direttamente all’ente competente sarebbe destinata a tornare in Comune prima ancora di essere istruita nel merito.
Non deve però dimenticarsi che il Consiglio di Stato (sentenza n. 4312/2012) ha chiarito che il procedimento strettamente edilizio è separato da quello del nullaosta, per cui l’ente compente a rilasciare il via libera non dovrebbe fare da semplice passacarte, sotto pena di essere considerato inadempiente a un proprio specifico dovere.
A conferma di ciò depone anche l’espressa previsione dell’articolo 23, comma 4, del Testo unico dell’edilizia che, in tema di Dia, continua a prevedere la possibilità che «il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela … sia allegato alla denuncia». Una norma che non avrebbe senso se lo sportello unico fosse davvero l’unica porta di accesso alla Pa anche per i procedimenti distinti, per quanto connessi, da quello propriamente edilizio.
In questo contesto si pone la recente adozione dei modelli unici della Superdia, che restano soggetti ai pareri delle soprintendenze e degli altri enti preposti alla tutela dei vincoli, che in Italia interessano gran parte del patrimonio edilizio esistente.
Ma ora, con la riforma della Pa, diventa ancora più conveniente la scelta di lasciare che all’istruttoria della Superdia o di altro titolo abilitativo per l’edilizia ci pensi il Comune: solo chi si rivolge allo sportello unico, infatti, può avvalersi del silenzio assenso dopo 30 giorni, che continua a non essere previsto sulle domande dei privati.
Il Sole 24 Ore – 31 agosto 2015