Via al cronometro. E’ iniziato ieri, con le audizioni dei presidenti delle Conferenze dei sindaci in commissione Sanità, il count down che il primo gennaio 2016 dovrebbe portare all’attivazione dell’Azienda zero e alla riduzione delle Usl da 21 a 7, una per provincia. Si chiameranno Dolomitica, Marca trevigiana, Serenissima, Polesana, Euganea, Berica e Scaligera. Una rivoluzione prevista dal progetto di legge 23, firmato dal governatore Luca Zaia, che accentra nell’Azienda zero «le funzioni di programmazione, attuazione sanitaria e sociosanitaria, coordinamento e governance del Sistema sanitario regionale» e le conferisce «attività tecnico-specialistiche, anche in supporto alle Usl». Il tutto in un’ottica di risparmio però non a scapito dei servizi, di standardizzazione delle procedure tra aziende e di una «maggiore trasparenza dell’attività amministrativa».
Ecco, la razionalizzazione dei costi è l’unico passaggio ad aver convinto i 18 sindaci ieri in Regione su 22: mancavano i presidenti delle conferenze delle Usl 10 (San Donà), 12 (Venezia), 17 (Monselice) e 20 (Verona). Saranno ascoltati il 18 settembre.
Tutti, esternato il disagio legato ai tempi ristretti di convocazione (venerdì per martedì), che hanno permesso loro di riunire non le conferenze ma solo gli esecutivi, si sono detti «molto preoccupati» per «quattro aspetti fondanti di una riforma epocale». Ovvero: il trasferimento del governo di un settore che assorbe i due terzi del bilancio regionale nelle mani di un’unica figura, cioè il direttore generale dell’Azienda Zero; la cancellazione del direttore dei Servizi sociali e il trasferimento delle sue funzioni al direttore sanitario; «lo svilimento del ruolo dei sindaci»; la ridefinizione degli ambiti delle Usl su base «geografica» e non in funzione alle peculiarità di ciascun territorio. «Non ci sono stati forniti tempi, elementi e dati idonei a poter giudicare — conferma Silvano Checchin, sindaco di Spinea a capo della Conferenza dell’Usl 13 (Mirano) —. Per esempio: ogni azienda ha modalità proprie di erogare i servizi sociali, legate alle esigenze locali, mischiandole che accade? Cosa succederà unendo strutture con il bilancio in rosso ad altre in attivo? E poi ha senso continuare a rispettare le attuali schede ospedaliere, non è meglio rivederle in tempi rapidi? A tutto ciò non c’è risposta nel pdl. Siamo favorevoli a una riorganizzazione, ma non dev’essere una scelta al buio, bensì un progetto costruito con la partecipazione di tutte le parti in causa e nell’interesse dei cittadini».
Si dice preoccupato Paolo Marconcini, sindaco di Cerea e presidente della Conferenza dell’Usl 21 (Legnago): «La proposta è innovativa e contiene aspetti interessanti, come il contenimento dei costi e l’attivazione di una centrale unica di acquisto, che consente un’economia di scala senza toccare numero e qualità dei servizi. Ma ci preoccupa molto veder consegnare la sanità a un’unica persona, tra l’altro svilendo le esperienze del territorio. Inoltre una sola Usl per provincia è riduttiva: Verona per esempio ha un milione di utenti e un territorio caratterizzato da lago, montagna e Bassa, quindi ne necessita di almeno due. Infine il Sociale sparisce, in un momento in cui i problemi aumentano: non abbiamo più un riferimento e poi le conferenze dei sindaci, oggi unione tra ospedale e territorio, che fine fanno? Nel progetto di legge non ce n’è traccia». Propone invece di spostare la sede amministrativa dell’unica Usl polesana da Rovigo ad Adria il presidente della Conferenza dell’Usl 19, Massimo Barbuiani: «Siamo un esempio virtuoso, vantiamo la migliore direzione del Triveneto e 450 mila euro di attivo. Ci va riconosciuto e inoltre non può sparire l’Usl di Adria, che copre un lingua di terra fra due fiumi e segue la popolazione più anziana del Veneto». Quindi il discorso della rappresentatività politica. «Viene svilita — avverte Martino Montagna, sindaco di Cornedo e guida della Conferenza dell’Usl 5 (Arzignano) —. Chiediamo lumi sul nostro ruolo: ci sarà una conferenza per provincia, con centinaia di amministratori? Impensabile. Così com’è improponibile arrivare a sole 7 Usl: va bene diminuirle, ma con intelligenza, tenendo conto delle necessità e delle caratteristiche dei territori. Nel Vicentino l’ideale sarebbe averne almeno 2 (ora sono 4, ndr). Quanto al Sociale perché eliminare un modello che funziona così bene da essere preso a modello in Italia? Va tenuto, così come il direttore di settore. Meglio rimandare di 6/12 mesi la riforma, piuttosto».
Il M5S, con Erika Baldin, propone addirittura di stralciare dal pdl Zaia la creazione dell’Azienda Zero, per riprenderla in mano dopo la revisione delle Usl, con un provvedimento a parte. «La faccenda è già abbastanza intricata così», sentenzia Baldin. «Terremo conto delle varie richieste e discuteremo eventuali miglioramenti al testo di legge — assicura Fabrizio Boron, presidente della Commissione Sanità —. Quanto ai tempi ristretti di convocazione (denunciati anche da Pd, Gruppo Tosi e Marino Zorzato di AP, ndr), ricordo che i 579 sindaci del Veneto hanno 60 giorni di tempo per esprimere il proprio parere sulla riforma della sanità». «Abbiamo tratto spunti positivi da ogni intervento — dice l’assessore alla Sanità, Luca Coletto — c’è qualche timore per il Sociale e per il dialogo con le Conferenze, ma credo si possa risolvere velocemente con un coordinamento allargato. Non costerà di più e migliorerà l’amministrazione del sistema sociosanitario territoriale. Ho poi colto apprezzamento per il risparmio amministrativo e il conseguente reinvestimento delle risorse a beneficio dei pazienti». Ma Claudio Sinigaglia (Pd) parla di «demolizione del modello veneto», mentre Flavio Tosi osserva: «Una razionalizzazione accurata va fatta, però programmazione, controllo e decisione devono restare in capo alla politica, alle persone elette dai cittadini».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 9 settembre 2015