di Michele Nico. Condanne per una somma complessiva superiore a 25 milioni di euro, oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria, a carico di varie case di cura private e dei dirigenti di un’azienda sanitaria, in conseguenza del danno causato alle casse di quest’ultima per l’indebito rimborso di prestazioni sanitarie non previste a carico del Servizio sanitario nazionale, e già in precedenza pagate dai pazienti privati.
Questo l’esito della sentenza della Corte dei conti (Sezione giurisdizionale Toscana) 5 maggio 2015 n. 81, destinata probabilmente a suscitare una revisione nelle modalità di pagamento, non sempre accurate, con cui il Ssn rimborsa i costi delle prestazioni svolte presso gli istituti privati.
La vicenda
La vicenda prende avvio dalle indagini e dagli accertamenti dei Nas, nonché dalla successiva chiamata in giudizio di funzionari e rappresentanti legali da parte della Procura contabile, giungendo poi a conclusione in seguito a una lunga e complessa istruttoria. Nel trattare i fatti addotti in causa la magistratura contabile accerta le responsabilità dei vari imputati coinvolti, addebitando un comportamento colpevole commissivo per i responsabili delle case di cura, e omissivo per i responsabili dell’azienda sanitaria.
C’è da premettere che le case di cura in questione avevano stipulato con l’Asl una convenzione per il periodo 1997/1998, con decorrenza retroattiva al 1° gennaio 1997, in seguito rinnovata tacitamente.
In tale contesto, le case di cura avevano inviato all’Azienda fatture per il rimborso integrale per tutte le prestazioni – sia per quelle per le quali i pazienti non avevano pagato oneri professionali, sia per quelle per le quali gli stessi avevano pagato le prestazioni ai chirurghi – sulla base di codici informatici di controllo indicanti l’assenza di pagamenti di attività libero professionale.
La responsabilità del danno erariale è stata rinvenuta dalla Corte in una condotta connotata da dolo contrattuale o gravemente colposo da parte delle case di cura, mentre i vertici dell’Azienda sanitaria sono stati condannati a titolo di culpa in vigilando, per una somma individuata nella percentuale del 10% rispetto all’intero importo del dolo.
La responsabilità della Asl
Con riferimento all’operato dell’Azienda il collegio osserva che, ai sensi del Dlgs 502/1992, «il Direttore generale della USL è investito di tutti i poteri di gestione e di controllo ed è pertanto costituito garante della complessiva correttezza dell’azione amministrativa riferibile all’Ente che dirige» di modo che nella vicenda, in presenza di indici di anomalia e di comportamenti elusivi, era preciso dovere del Direttore generale «dare precise e tempestive disposizioni, attivare controlli specifici, chiedere direttive sollecite agli Enti di vigilanza (la Regione)».
In un siffatto quadro normativo al Direttore generale compete in particolare – anche in forza dell’istituzione dell’apposito servizio di controllo interno – l’onere di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti di risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate, nonché l’imparzialità ed il buon funzionamento dell’azione amministrativa.
La giurisprudenza contabile ha in effetti statuito che la normativa ha inteso «dare ampissimi poteri al direttore generale delle ASL nei cui confronti il direttore amministrativo ed il direttore sanitario possono vantare un (limitato) potere di proposta e pareri (Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Veneto, sentenza 12 giugno 2006, n. 589)».
La magistratura toscana accerta, in ogni caso, anche la responsabilità della dirigenza di segreteria dell’Asl, che avrebbe dovuto effettuare una verifica sostanziale sulle prestazioni sanitarie svolte dalle case di cura, nonché della congruità della durata delle degenze, in relazione al tipo di malattia e intervento.
La mano pesante della Corte dei conti stigmatizza, in questo caso, la scarsa attenzione prestata dall’Azienda nel dare corso ai rimborsi delle prestazioni sanitarie secondo un improprio sistema funzionale, adottato non soltanto in spregio alle regole prescritte, ma anche senza alcun riguardo per un corretto impiego delle risorse pubbliche a beneficio degli interessi della collettività.
Il Sole 24 Ore – 27 maggio 2015