Rimborsi su Tfr e contributi solidarietà bloccati ancora prima di partire. Applicare sentenza Consulta diventa rompicapo
Si ingolfa prima di partire la macchina delle restituzioni ai dipendenti pubblici delle trattenute sul Tfr e degli altri tagli agli stipendi cancellati dalla Corte costituzionale nella sentenza 223/2012. Gli interessati hanno iniziato a chiedere i rimborsi alle amministrazioni di appartenenza, gli uffici a loro volta attendono lumi dalla Funzione pubblica che però guarda all’Economia in cerca di una soluzione. Alla fine della catena, l’applicazione della sentenza si può rivelare un rompicapo. La partita più ampia riguarda la restituzione delle trattenute sul Tfr, che in pratica rialza del 2,5% la retribuzione dipendenti pubblici: la Corte ha bocciato la norma perché la trattenuta non esiste nel settore privato, e quindi la sua applicazione determina una disparità di trattamento illegittima in ambito fiscale.
Proprio la collocazione della partita sul terreno fiscale, però, spinge le amministrazioni ad attendere le istruzioni di Economia ed Entrate, titolari della materia.
Ancor più intricata la questione del «contributo di solidarietà» sugli stipendi superiori a 90mila euro. La sua applicazione, dal 2010 a oggi, ha però modificato gli imponibili Irpef degli statali interessati, che quindi devono ricevere gli arretrati ma sono chiamati anche a subire un conguaglio Irpef (addizionali comprese) sull’imponibile “riemerso” dalla tagliola. Finora le amministrazioni hanno agito come sostituto d’imposta, trattenendo ogni mese la quota richiesta dal contributo di solidarietà, ma per fare macchina indietro occorrono indicazioni chiare che al momento mancano. Senza contare le coperture da trovare in bilancio per avviare le restituzioni (comprese quelle delle indennità speciali dei magistrati, terza voce dell’austerity cancellata dalla Corte), che potrebbe impegnare Governo e Parlamento nel corso dell’esame del Ddl stabilità.
Intanto la Ragioneria generale, nella circolare 30/2012 diffusa ieri, ha completato il quadro delle istruzioni per il tetto agli stipendi pubblici, che non possono superare i 294mila euro percepiti dal primo presidente della corte di Cassazione, e per le retribuzioni per incarichi extra, che non possono superare il 25% dello stipendio d’origine. Il tetto, precisa la Ragioneria, opera dal 23 dicembre scorso, data di entrata in vigore della legge «salva-Italia» che l’ha introdotto, e i versamenti al bilancio dello Stato vanno effettuati dall’amministrazione di appartenenza o da quella che ha affidato l’incarico.
Il Sole 24 Ore – 23 ottobre 2012