I salari congelati. Quasi sei milioni di lavoratori in attesa di rinnovo, dagli statali agli edili passando per la grande distribuzione. Periodi di vacanza che nel settore privato arrivano a due anni e mezzo. Una giungla di accordi nazionali firmati da piccole organizzazioni. Negli ultimi anni, tra la lunga crisi e questo embrione di ripresa, la contrattazione collettiva italiana, basata sulla centralità dell’accordo nazionale, ha mostrato tutti i suoi limiti. Qualche grande settore ha provato a metterci una pezza: la chimica dirottando risorse sulle intese di secondo livello, i metalmeccanici puntando sul welfare. Ma in attesa che Confindustria e sindacati si risiedano al tavolo del “Patto per la fabbrica”, rilanciato sabato dal leader degli industriali Boccia, ancora manca una direzione alternativa. Gli accordi decentrati, che secondo Bankitalia «favorirebbero un allineamento tra salari e produttività», non decollano, nonostante le agevolazioni introdotte dal governo Renzi. Nel 2016 solo il 20% delle aziende sopra i venti dipendenti aveva un integrativo. Stesso dato del 2015, prima degli incentivi.
Così l’anno scorso le buste paga nel settore privato sono cresciute dello 0,8%, ferme per quattro dipendenti su dieci. Effetto di alcuni rinnovi senza scatti retributivi, almeno all’inizio. Ma anche dei 42 contratti nazionali scaduti, dato Istat di marzo. Nonostante il milione e mezzo di metalmeccanici “sistemati” a novembre, restano 5,8 milioni i dipendenti in attesa, specie nei settori più colpiti dalla crisi. Per 3 milioni di statali il processo è avviato, ma all’appello nel privato mancano l’edilizia (un milione di addetti) e vari comparti del terziario: grande distribuzione (500 mila lavoratori), pulizie (450 mila), credito cooperativo (37 mila) e trasporto aereo. Con un periodo di vacanza di oltre 36 mesi, 62 considerando anche la Pa. E una frammentazione in continuo aumento: i contratti nazionali censiti dal Cnel erano 309 nel 2008, oggi sono 809. Spesso sottoscritti da sigle minori, con retribuzioni fino al 20% inferiori. Una giungla che risponde ai bisogni di flessibilità delle imprese. Ma che rischia di scatenare una corsa al ribasso di salari e diritti. ( f. sant.)
Repubblica – 12 giugno 2017