Rinvio a settembre sui dirigenti licenziabili. Via libera invece al taglio di 7.726 società partecipate pubbliche. Varato il Codice digitale unico
Tutto rimandato alla fine di agosto. L’approvazione del provvedimento di riforma della dirigenza pubblica slitta di un paio di settimane e consente al governo di valutare con maggiore calma gli effetti di un decreto che ridisegna il ruolo dei manager statali. Un terreno politicamente scivoloso (è prevista, tra l’altro, la licenziabilità in assenza di incarico), tanto da suggerire un rinvio alla luce anche di eventuali ricorsi da parte dei dirigenti della Pubblica amministrazione. Analoga sorte è toccata ieri, alla vigilia del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto discuterne, al decreto che razionalizza e riduce da 105 a 60 le Camere di commercio. Due cardini dell’impianto della riforma Madia richiedono, insomma, qualche approfondimento in più per blindarne i contenuti e l’efficacia.
Il governo, peraltro, non intende fare scadere la delega e punta ad approvare i due decreti (oltre a quello sugli enti di ricerca) in occasione del Consiglio dei ministri del 25 agosto. Prima della pausa estiva l’esecutivo rivendica, intanto, il via libera sia al provvedimento che interviene su 7.726 partecipate pubbliche, per ridurne il numero a mille, sia al decreto per la digitalizzazione degli uffici statali. «Riduzione società partecipate e cittadinanza digitale approvate, definitivamente», sottolinea il tweet di Marianna Madia, ministro per la pa e la semplificazione, al termine del Consiglio dei ministri.
In dettaglio, il decreto sulle aziende pubbliche punta a sfoltire le società con fatturato inferiore a 1 milione di euro, così come quelle che negli ultimi esercizi abbiamo archiviato il bilancio sistematicamente in rosso. Stretta anche sulle attività dove il numero degli amministratori supera quello dei dipendenti. E se gli enti locali non provvederanno a chiuderle il ministero dell’Economia avrà potere di intervento, predisponendone la messa in liquidazione. Sul versante del codice dell’amministrazione digitale (Cad) la novità riguarda l’introduzione dell’identità digitale attraverso cui i cittadini accederanno a tutti i servizi della Pa.
Andrea Ducci – Il Corriere della Sera – 11 agosto 2016
Taglio soft delle partecipate. Rinviata la stretta sui dirigenti. Via libera a tre decreti della riforma Madia. Le Camere di Commercio sono salve
Alessandro Barbera. La riunione prometteva di più: Marianna Madia era convinta di ottenere il sì al decreto sulla dirigenza pubblica, ma la lobby ha avuto la meglio. Risultato: conferenza stampa cancellata e rinvio al 25 agosto, ultimo giorno utile prima che la delega parlamentare scada e uccida la riforma nella culla. Il Consiglio dei ministri ieri ha approvato in via definitiva un’altra riforma, quella che promette la chiusura di almeno cinquemila delle oltre ottomila società controllate dallo Stato e dagli enti locali. Attenzione però: come è chiaro dal testo e come insegna la storia, fra gli atti e i fatti c’è molta strada da fare. Sui tempi, anzitutto: il testo impone un piano di alienazione, vendita o aggregazione di tutte le società interessate dalla riforma entro sei mesi. Da allora – sarà più o meno febbraio del 2017 – ci sarà un altro anno per attuare le misure. La riforma riguarderebbe tutte quelle con una soglia di fatturato al di sotto del milione e con meno dipendenti che amministratori. Secondo il censimento fatto dall’allora commissario alla spesa Carlo Cottarelli, le prime sono almeno 2500, circa 1300 quelle senza dipendenti, 2000 quelle con più amministratori che dipendenti. Secondo le stime analitiche del ministero della Pubblica amministrazione ce ne sono 3035 con meno di cinque dipendenti, altre 2093 che non hanno dichiarato il proprio organico. L’efficacia della riforma passa da qui: chi controllerà se e quali società saranno effettivamente comprese nella lista? E quanti Comuni cercheranno di aggirare i paletti della riforma aumentando le assunzioni di quel tanto sufficiente a superare il limite di legge? Quanti ritoccheranno i bilanci delle controllate (il Parlamento aveva proposto di abbassarlo a 500 mila euro) oltre il quale scatterebbe la tagliola? Il decreto concede da sé alcune non trascurabili deroghe: nella lista vanno incluse tutte le società in rosso per quattro dei cinque esercizi precedenti, ma solo se «il risultato negativo è di ammontare non inferiore al cinque per cento del fatturato». Inoltre c’è l’esclusione ad hoc di alcune aziende, da Invitalia a Coni servizi, dalle fiere a tutte quelle che gestiscono servizi di funivia. Potenza delle Regioni di confine.
Si dirà: riformare la macchina pubblica è la più difficile delle arti di governo. Come aspettarsi dalla burocrazia il sostegno necessario a imporre i tagli alla burocrazia stessa? Non si spiega altrimenti l’ennesimo rinvio del decreto di riordino delle Camere di Commercio (circola sui tavoli da oltre un anno, dovrebbero scendere da 106 a 60) e l’annacquamento della norma che dal 12 agosto avrebbe dovuto imporre l’abolizione della carta nella pubblica amministrazione: se ne riparlerà in un decreto successivo. Figuriamoci se poi c’è in ballo la sopravvivenza dei privilegi della dirigenza pubblica. Le indiscrezioni raccontano che l’approvazione del decreto si è arenata sulla norma che impone le nuove regole a tutti i funzionari in servizio. La riforma – almeno nel testo circolato finora – prevede l’introduzione del «ruolo unico dei dirigenti», o meglio di quattro ruoli: Stato, Regioni, enti locali, autorità indipendenti. L’incarico non durerebbe più di quattro anni, prorogabile per due, al termine dei quali si dovrebbe rientrare nell’incarico precedente con la valutazione sul lavoro svolto. Se il giudizio è buono, si potrebbe aspirare ad un nuovo incarico. Troppo per chi finora ha potuto contare su premi di produttività senza produttività.
La Stampa – 11 agosto 2016