Alessandro Barbera. Più?che una curva ormai è una linea che procede a zigzag. Dopo il forte calo di dicembre, e un ulteriore calo a gennaio, a febbraio la disoccupazione è aumentata nuovamente di due punti decimali, al 12,7 per cento, tornando ai livelli di dicembre. Nel giro di un mese hanno perso il posto 44mila persone, 42mila delle quali donne. Che sta accadendo? Che ne è dei segnali «sorprendenti» che Renzi ha sbandierato pochi giorni fa?
La comunicazione è tanto più efficace quanto più semplice è il messaggio che si vuole veicolare. Ma quando di mezzo ci sono numeri complessi come quelli sull’occupazione, il rischio del cortocircuito mediatico è alto. E così si scopre che per gli esperti di Palazzo Chigi e Tesoro «non c’è nulla di nuovo sotto il cielo». Dal primo gennaio – ricordano – è in vigore uno sgravio contributivo da 8.060 euro che sta spingendo le imprese a trasformare in contratti stabili posti di lavoro che finora non lo erano. Secondo i dati diffusi dal ministero del Lavoro, fra gennaio e febbraio ne sono stati sottoscritti il 38 per cento in più di un anno fa. I nuovi assunti dal 7 marzo non hanno nemmeno la tutela dell’articolo 18. Il numero non è ancora ufficiale, ma sul tavolo del premier e del ministro Poletti c’è una stima secondo la quale questo mese, rispetto a marzo del 2014, l’aumento dei contratti a tempo indeterminato sarebbe stato di oltre il 70 per cento. E allora – ci si chiede – come mai la disoccupazione non scende?
La prima risposta, la più semplice, è che le imprese, allettate dallo sgravio, stanno essenzialmente assumendo i propri dipendenti precari. La seconda ragione dello sfasamento è squisitamente temporale: «Gli economisti – dice il responsabile economia Filippo Taddei – insegnano che l’andamento dell’occupazione segue il ciclo con almeno sei mesi di ritardo». Poiché i primi segnali concreti di ripresa risalgono a gennaio, Taddei è convinto gli effetti sul mercato del lavoro saranno visibili dalla fine dell’estate, in settembre. La terza ragione del ritardo – dicono sempre al governo – è strutturale. Perché è vero che la ripresa dell’economia, seppure ciclica, è in atto. Ma non bisogna dimenticarsi la durata della caduta. Dall’inizio della crisi l’Italia ha perso oltre nove punti di prodotto e un quarto della produzione industriale. Solo ora – lo certificano i dati – le imprese stanno smettendo di fare uso massiccio della cassa integrazione. Il numero due del Tesoro Enrico Morando la definisce «capacità produttiva inutilizzata». In sintesi: le imprese non si sono ancora riprese dalle conseguenze della recessione più pesante dal dopoguerra e solo ora stanno richiamando al lavoro molti dei dipendenti finiti sotto la protezione della cassa integrazione, sia quella ordinaria (concessa alle imprese più grandi) sia quella in deroga, che dal 2008 in poi è stata utilizzata anche per le più piccole. Gli esperti che Renzi ha voluto attorno a sé a Palazzo Chigi ieri sono rimasti però colpiti da un dato, ed è quello per il quale a febbraio le 44mila persone che hanno avuto la cessazione del contratto erano quasi tutte donne. «Abbiamo chiesto al ministero del Lavoro di indagare», dice Taddei. «Ma la ragione più probabile è che proprio le donne sono quelle che stanno beneficiando di più di altri della trasformazione dei contratti a stabili». Se e cosa il governo si inventerà di qui in poi per invertire la tendenza è presto per dirlo. C’è chi preme per ripristinare gli sgravi per la contrattazione aziendale, chi pensa che aiuterà la riforma della cassa integrazione. Nel breve periodo l’unico vero stimolo è tagliare in maniera ancora più netta le tasse a carico delle imprese. Dipenderà tutto dall’andamento del Pil, dei conti, e dalla qualità della revisione della spesa.
Ma i giovani rischiano di restare fuori dal nuovo contratto a tutele crescenti. Le imprese preferiscono lavoratori già esperti. E molti ragazzi scelgono la partita Iva
Walter Passerini. I messaggi sono contrastanti, da elettrocardiogramma impazzito. Oggi i punti fermi Istat sono: il 12,7% di disoccupazione generale, il 42,6% di disoccupazione giovanile. Dovremo rassegnarci: leggere ogni mese i dati ci rende prigionieri delle montagne russe, costringendoci a emozioni e colpi di scena a ritmo serrato.
Solo lunedì il governo celebrava 79mila assunzioni a gennaio e febbraio 2015, ma ieri l’Istat ha precisato che sono dati non confrontabili perché «sono di diversa natura e non necessariamente significano nuovi occupati; possono anche essere transizioni dal tempo determinato e altri tipi di contratti». La lotteria dei numeri crea sconcerto e offusca le tendenze. A febbraio sono calati di 44 mila unità gli occupati, quasi tutte donne, rispetto a gennaio, ma a preoccupare è la disoccupazione giovanile salita di 1,3 punti su gennaio, proprio nel bimestre in cui trionfano gli incentivi della legge di Stabilità (sconto di 8060 euro l’anno per assunto, 24 mila euro nel triennio). Evidentemente il doping da solo non basta, dobbiamo attendere il boom dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti partito il 7 marzo.
La spia delle difficoltà
È la questione giovanile la spia e la metafora delle difficoltà, anche perché il mitico e miracoloso contratto per neo-assunti non è detto che darà lavoro soprattutto ai più giovani. Intanto a febbraio i giovani occupati sono sempre pochi (868 mila tra 15-24 anni), 40 mila in meno rispetto all’anno precedente e 34 mila in meno su gennaio. Il tasso di disoccupazione è al 43%, mentre l’occupazione scende al 14,6% (solo un giovane su sette lavora). E nel contempo salgono gli inattivi a 4,4 milioni, aumentando di 35 mila unità in un anno e di 20 mila in un mese (dentro ci sono 2 milioni di Neet). Ma le fotografie non servono, ci vuole la macchina da presa che colga il movimento e la nascita di un nuovo dualismo tra tutelati e non. Ora le attese sono sul contratto a tutele crescenti e senza l’articolo 18, che metterà il turbo anche grazie agli sconti contributivi. Un anno fa aveva fatto terra bruciata il contratto a tempo determinato, reso più facile e passepartout di tutte le assunzioni: tre anni di flessibilità senza causale.
Non a caso il contratto a termine ha cannibalizzato gli altri contratti (sette su dieci). Ora il nuovo contratto lo sostituirà? Diventerà la formula regina? Forse, ma i giovani potrebbero venire emarginati. L’ipotesi viene ventilata dal mondo delle imprese che, cercando di trarre il massimo vantaggio dalle novità, faranno sì assunzioni con il nuovo contratto superscontato, ma sceglieranno bene le persone da assumere con grande selettività.
Problema di competitività
Il problema delle aziende è oggi la concorrenza e la competitività: otterranno più produttività facendo rientrare in parte i cassintegrati e assumendo risorse esterne più esperte che giovani, più competenti che da formare. La fretta giocherà il resto, nella rincorsa al massimo di produttività. La selezione segmenterà e riposizionerà il mercato: a farne le spese potrebbero essere i giovani, per i quali si profila un futuro di precarietà, viste le troppe formule che non sono state disboscate. Si ripropone così, nonostante il nuovo contratto, quel dualismo del mercato del lavoro che è fonte di ambiguità. Le evidenze sono la spinosa stabilizzazione dei cocopro, ma anche la ripresa dei contratti in somministrazione (ex interinali, crescono al 9% e registrano 300mila occupati al mese, in gran parte giovani), la stabilità dell’apprendistato (fortemente incentivato), l’aumento di stage e tirocini (spesso fuorilegge), job on call e voucher. Ma anche l’aumento delle partite Iva giovanili dovuta a ragioni fiscali (regime dei minimi), che fa sì che a oggi 700mila under 35enni abbiano scelto la via dell’auto-impresa.
Tra le strategie giovanili alternative c’è così il passaggio dal lavoro dipendente al lavoro autonomo. Insieme al trasferimento all’estero (l’anno scorso ha coinvolto 100mila italiani di cui la metà sotto i 40 anni): scelta più matura e consapevole, sempre meno fuga da emarginati. Mentre grida vendetta il flop della Garanzia giovani (1,5 miliardi di finanziamento), icona d’impotenza e dagherrotipo dell’immobilismo dell’Italia che fu.
La Stampa – 1 aprile 2015