di Lorenzo Salvia. Dovrebbero cambiare di nuovo le regole per il cosiddetto riscatto low cost della laurea. Facendo saltare il limite dei 45 anni d’età previsto oggi e sostituendolo con un altro requisito, più equo. E cioè aver cominciato a lavorare e versare i contributi previdenziali dopo il 1996.
La misura contenuta nel decretone su reddito di cittadinanza e Quota 100 ha attirato subito l’attenzione di tante persone. Soprattutto di quelle che a suo tempo non hanno riscattato il titolo di studio per andare in pensione prima, negli anni successivi si sono viste presentare un conto salatissimo in termini di contributi da pagare. E alla fine hanno rinunciato, con molti rimpianti sul latte versato e sui contributi non versati. Ma ha attirato l’attenzione anche dei tecnici del Senato che hanno giudicato la norma a forte rischio di incostituzionalità. Perché?
Pensioni
L’incentivo non vale per gli iscritti alle casse professionali. Il limite dei 45 anni
Il riscatto low cost prevede la possibilità di pagare «solo» 5.241 euro di contributi per ogni anno del corso di laurea, con il risultato di farli valere come anni lavorativi ai fini della pensione. Nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri e arrivato nei giorni scorsi al Senato per la conversione in legge, questa strada è percorribile solo da chi ha meno di 45 anni d’età. Adesso, è vero che ogni riforma, specie in tema di pensioni, traccia una linea per terra che definisce un prima e un dopo. Per forza di cose ci sono persone che possono sfruttare una nuova opportunità e altre che invece si vedono passare il treno davanti senza poter salire. Ma, come hanno notato anche i tecnici del Senato nel dossier sul decreto che prepara l’esame in commissione, quel paletto rischia di violare il principio della Costituzione che ci vede tutti uguali davanti alla legge. E questo perché gli under 45 sarebbero fortunati e potrebbero sfruttare questa opportunità mentre tutti gli altri no. La prima risposta del governo era stata studiare un innalzamento dell’età massima: non più 45 ma 50 anni. Una specie di riduzione del danno. Sarebbe stato forse meno iniquo, senza dubbio più costoso per lo Stato. Ma non avrebbe risolto il problema alla radice. Di qui la nuova idea che dovrebbe prendere la forma di un emendamento da presentare in commissione o direttamente in Aula.
Il riscatto low cost sarebbe consentito a prescindere dall’età anagrafica. Ma solo a chi ha cominciato a lavorare e versare contributi dopo il 1996. Non si tratta di una data scelta a caso, naturalmente. In quell’anno è partita la riforma Dini delle pensioni. Chi ha cominciato a lavorare dopo di allora avrà una pensione interamente contributiva, cioè calcolata in base ai contributi versati nel corso della vita lavorativa e non anche in base agli ultimi stipendi. Anche in questo caso ci sarebbe un prima e un dopo. Ma il rischio incostituzionalità sarebbe aggirato perché la strada vantaggiosa del riscatto low cost sarebbe percorribile solo da chi deve, non per scelta ma per forza, imboccare anche la strada svantaggiosa della pensione contributiva.
A proposito di equità, però, resta un altro nodo da sciogliere. Anche nella nuova formulazione, il riscatto low cost sarebbe possibile solo per chi versa i contributi all’Inps. Restano esclusi tutti i professionisti — come avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, medici, giornalisti — che hanno una cassa previdenziale privata. La norma del decretone non si applica a loro. Dovrebbero essere le singole casse a decidere di percorrere questa strada. Ma con le alte pensioni che pagano e i pochi contributi che incassano, non sembra proprio aria.
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