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Riscatto della laurea gratis, il «no» di Tinagli (Pd): “Il tema vero è il lavoro. Misura costosissima perché incide sulla fiscalità generale e sul debito pubblico”

di Fabio Savelli. «Una misura iniqua e regressiva. Persino discriminatoria, con dei profili — a mio avviso — di incostituzionalità. E anche costosissima, perché incide sulla fiscalità generale, e a cascata, sul debito pubblico». Irene Tinagli, 43 anni, è un’apprezzata economista. Conosciuta in ambito internazionale per la sua attività di consulenza per la Commissione europea e per la nomina a «Young Global Leader» riconosciutale dal World Economic Forum. Tinagli è anche deputata del Partito Democratico (ma eletta nel 2013 nelle fila di Scelta Civica), l’azionista di maggioranza del governo Gentiloni. Il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, anche lui del Pd, ha aperto recentemente all’ipotesi del riscatto gratuito della laurea per i nati tra il 1980 e il 2000, come misura di sostegno generazionale in vista della futura pensione.

Ammetterà che questa generazione è la più penalizzata per il montante contributivo da accumulare che la espone ad un accesso lontano e forse tardivo all’età della quiescenza?

 

«Non lo nascondo, ma vede in Italia siamo sempre alle solite. Mi sorprende che qualcuno si sia avventurato in una proposta del genere. Perché si pensa di risolvere le storture sociali agendo sul tema della previdenza con una veste che definirei compensativa. Si pensi al caso delle donne. Siccome lavorano meno per una serie di motivi il legislatore ha pensato di riconoscerle uno sconto contributivo consentendo loro di andare in pensione un po’ prima. Invece dovrebbe investire su ciò che limita, impedisce la loro realizzazione professionale. Vuole un esempio? Servono più asili nido per conciliare meglio lavoro e famiglia».

Perché pensa sia una misura regressiva? In fondo la generazione precedente ha goduto, fino al 1995, del sistema retributivo con assegni svincolati dall’entità dei contributi versati.

«È regressiva perché la misura allo studio interessa soltanto chi ha una laurea. E non tutta la generazione in questione. Tutti gli studi ci dicono che l’80% dei laureati viene da famiglie della medio/alta borghesia e soltanto il restante 20% proviene da classi meno abbienti. In sostanza il costo complessivo dell’operazione finisce per essere pagato da tutti, tramite la fiscalità generale, per agevolare soltanto una parte. Che spesso è già più fortunata e gode di un accesso all’istruzione universitaria pubblica ad un costo molto calmierato».

Eppure i calcoli di Stefano Patriarca, consigliere economico di Palazzo Chigi, rilevano come quelli nati dopo 1980 rischiano di andare in pensione a più di 73 anni?

«Il tema vero è il lavoro. Questa generazione è strozzata da un mercato diventato iper-competitivo anche in virtù di un’accelerazione tecnologica senza precedenti. Senza un’occupazione stabile mancano anche i contributi previdenziali che consentono di avere al termine della vita lavorativa un assegno più sostanzioso. Ecco perché bisogna lavorare sulle politiche attive. Investendo tutte le nostre risorse sulla formazione continua. Supportando l’Anpal, l’agenzia nazionale deputata a questo tema, purtroppo uscita ridimensionata a causa della bocciatura della riforma costituzionale di dicembre, che le avrebbe permesso una regia nazionale senza demandare alle Regioni. Immaginando una decontribuzione permanente delle nuove assunzioni. Cercando di gestire meglio anche le risorse dei fondi interprofessionali promossi dalle parti sociali. Qualcosa si sta muovendo. L’esempio del contratto dei metalmeccanici va nella giusta direzione. Ma il tema formazione da noi è ancora molto marginale».

Il Corriere della Sera – 3 agosto 2017

 

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