Che cosa è andato storto? A poco più di un anno dalla comparsa sulla scena del Covid – col suo bilancio di due milioni di morti, di cento milioni di infezioni e di una spaventosa devastazione economica e sociale – risponde a questo drammatico interrogativo il secondo rapporto provvisorio dell’Ipppr, cioè il gruppo indipendente per la preparazione e la risposta alle pandemie , guidato dall’ex primo ministro neozelandese Helen Clark e dall’ex presidente liberiano Ellen Johnson Sirleaf. Le valutazioni non potrebbero essere più chiare di così nel rimandare a «una serie di critici fallimenti nelle risposte globali e nazionali al Covid-19», all’inadeguata preparazione alla pandemia, nonostante anni di avvertenze; ai ritardi dell’Oms e delle autorità nazionali nel cogliere il fatto che il virus poteva diffondersi tra le persone e che anche gli asintomatici potevano trasmettere il virus.
Il rapporto mette impietosamente a nudo i fallimenti del sistema sanitario internazionale e i fatali ritardi nel rilevare e allertare il mondo sul nuovo patogeno infettivo con potenziale pandemico, SARS-CoV-2 , altamente trasmissibile, aiutato dalla diffusione asintomatica. Dopo essere stato rilevato per la prima volta nella città di Wuhan alla fine del 2019 avrebbe potuto essere bloccato a gennaio prima di attraversare i confini e provocare il caos globale. Ma, sebbene i primi casi risalissero a dicembre e gli ospedali di Wuhan stessero assistendo a nuove polmoniti inspiegabili, è solo il 31 di quel mese che la Commissione sanitaria nazionale cinese annuncia finalmente un’epidemia di polmonite virale non correlata alla SARS, «sotto controllo», e per la quale non esisteva alcuna prova di trasmissione da uomo a uomo. I cluster virali non sono segnalati all’Oms. Allertata tramite notizie parziali e social media, l’Agenzia non riceve conferme ufficiali fino al 3 gennaio 2020, e intanto l’assenza di rapporti accurati e completi è all’origine di informazioni inesatte e di gravi ritardi, come mostra la cronologia, ben presente anche ai non addetti ai lavori. L’Oms convoca il suo comitato di emergenza solo il 22 gennaio 2020, decidendo che i sintomi della nuova malattia non erano preoccupanti come quelli della Sars, tanto da scegliere – con un discusso equilibrismo su termini come “moderata” – di non dichiarare l’epidemia un’emergenza internazionale di sanità pubblica, come aveva fatto per l’Influenza suina e Ebola. Soltanto una settimana dopo, il 30 gennaio 2020 quando la SARS-CoV-2 stava già marciando – non in giorni o settimane, ma in ore, in 20 luoghi fuori della Cina , giunge a dichiarare il focolaio internazionale di Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale , acronimo PHEIC, Public Health Emergency of International Concern (che comporta raccomandazioni e misure temporanee non vincolanti per i vari Paesi, riguardanti viaggi, commerci, quarantena, screening, trattamenti).
L’11 marzo, infine, più di un mese dopo, – mentre perduravano i dubbi sulle modalità di trasmissione e l’uso delle mascherine – arriva finalmente la dichiarazione di pandemia: la lentezza nel dichiarare una crisi internazionale attira sull’Oms l’ira dell’allora presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump che accusa l’organizzazione di aver gestito in modo pessimo la crisi e di essere un “fantoccio della Cina”. La parola pandemia – carica di immagini, suggestioni, emergenze sanitarie intorno al mondo, come Ebola – avrebbe dovuto comparire molto prima – segnala il rapporto- data la sua capacità di ” focalizzare l’attenzione sulla gravità di un evento sanitario ’.
Lo spaventoso bilancio della pandemia per quanto riguarda il numero dei casi non risponde sicuramente alla realtà: secondo gli esperti il conteggio ufficiale è di gran lunga sottostimato: il volume delle infezioni nella primissima fase dell’epidemia era in tutti i paesi più alto di quanto ufficialmente riportato e non c’è dubbio che un’epidemia in parte nascosta abbia aiutato la diffusione globale. La relazione chiama ad un mea culpa globale: Covid-19 ha crudelmente dimostrato che il sistema istituito per la sicurezza sanitaria globale non è in grado di rispondere adeguatamente.
Ma ora è tempo di passare dalle lezioni apprese ai fatti: cominciando, come sostiene il gruppo di esperti, dalla revisione e dalla riforma dell’Oms, messa in grado, con un mandato pieno, una forte autorità e adeguati finanziamenti di assicurare la sanità pubblica che ci si aspetta. Prendendo di petto le tensioni geopolitiche che è stata costretta ad affrontare durante la pandemia, come quella tra Stati Uniti e Cina, in modo da riaffermare la propria guida sulla salute del mondo. Ed esigendo dai governi che rispondano di palesi deviazioni, per quanto riguarda la preparazione e la risposta all’emergenza. Cosa che comprende anche la possibilità di appurare i comportamenti della Cina, all’attenzione di un gruppo di esperti mandati dall’Oms che hanno concluso questi giorni l’indagine a Wuhan per risalire alle origini della pandemia:l ’ipotesi «più probabile» è che il coronavirus sia stato trasmesso all’uomo da un animale, passando per una specie intermedia, mentre la possibilità che sia uscito per errore da un laboratorio – che trova ancora molti sostenitori intorno al mondo – è «estremamente improbabile».
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