Una separazione a dir poco conflittuale, con litigi continui per i due figli piccoli, che ieri sera è sfociata in un agghiacciante duplice delitto e nel suicidio dell’assassino. È quanto accaduto non distante dal canile gestito dall’associazione «Lega del cane» della frazione rodigina di Fenil del Turco, attorno alle 18 di ieri sera.
La custode della struttura, la moldava cinquantunenne Maria Ascarov e la figlia trentunenne Rosica Montana sono state uccise da alcuni colpi di revolver sull’uscio della loro casa, vicina al canile, dall’ex marito della trentunenne, il muratore albanese di 41 anni Rino Begu. Nella colluttazione è rimasto ferito anche il marito della Ascarov, il quarantaquattrenne moldavo Nuridin Ascarov che è stato poi trasportato e operato all’ospedale di Rovigo. Dopo la strage, Begu ha rivolto l’arma contro sé stesso e si è tolto la vita.
Alla terribile mattanza hanno assistito il figlio di 16 anni degli Ascarov, rimasto illeso, e i due figli di Begu e della Montana, un maschio di sei anni e una bimba di tre anni che dopo la separazione dei genitori stavano con la madre e i nonni materni.
A dare l’allarme sono stati un dipendente del canile municipale, Claudio Cesaretto che si è salvato dalla furia omicida di Begu nascondendosi in un box, e dalla volontaria della Lega del cane Sara Brandolese, che è entrata nel canile sanitario dell’Usl 18 che è attaccato a quello gestito dall’associazione dove attualmente sono ospitati circa 140 animali. I due hanno sentito la serie di spari e hanno chiamato col cellulare i carabinieri.
Fra i primi testimoni della tragedia sentiti ieri dal magistrato di turno c’è il dottor Donato Piccolo, responsabile del canile sanitario dell’Usl 18 di Rovigo, attiguo al rifugio della Lega nazionale per la difesa del cane, che si trova a Fenil del Turco. Le due strutture sono divise solo da una rete. «Erano le 18.10, stavo visitando dei cani nell’ambulatorio del canile — racconta il veterinario, che era lì insieme a una collaboratrice — e all’improvviso ho sentito dei colpi. Inizialmente ho scambiato quel rumore per lo sbattere delle imposte contro il muro, così sono andato a controllare. Ma era tutto a posto e allora ho capito che potevano essere spari e ho chiamato subito i carabinieri. Mi hanno detto che stavano arrivando, perché erano già stati allertati». In un primo tempo infatti si pensava che la sparatoria fosse avvenuta all’interno del canile.
«I militari ci hanno detto di restare dentro fino a nuovo ordine e così non ci siamo mossi fino alle otto di sera, quando gli investigatori mi hanno chiesto di andare in caserma a testimoniare ciò che avevo sentito». L’eco degli spari è stato udito anche da una residente, che abita a pochi metri dal rifugio gestito dall’associazione presieduta da Isabella Ghinello. «Non si può passare, la strada è bloccata — raccontava ieri sera la signora — ci sono almeno dieci macchine delle forze dell’ordine e l’ambulanza. Sono ancora tutti dentro. Dopo le sei del pomeriggio ho sentito gridare la custode del rifugio e il marito, che lavora da un’altra parte: stavano baruffando, ma non so per quale motivo. All’improvviso ho udito degli spari, poi il silenzio, quindi le sirene dei carabinieri e dell’ambulanza».
Un’ora dopo la strage sulla pagina Facebook della Lega nazionale per la difesa del Cane Rovigo, i volontari hanno scritto: «Ci sono stati degli spari al Rifugio CIPA di Fenil del Turco. La vicenda è legata a dissidi interni alla famiglia della custode, che abita lì in base alla convenzione che regola la gestione della struttura. L’associazione è estranea alla vicenda. Alcuni volontari adesso si trovano sul posto. L’operatore e la volontaria presenti al momento della sparatoria stanno bene. Non abbiamo notizie certe riguardo a feriti o morti riguardo alla famiglia della custode».
Nel giro di pochi minuti la notizia è stata comunicata al direttore generale dell’Usl 18, Antonio Compostella: «Mi hanno raccontato che la tragedia è avvenuta nell’appartamento dei custodi interno alla parte privata del rifugio, attaccato al nostro canile sanitario. So che si è trattato di una vendetta familiare. Ora ci stiamo prendendo cura del ferito, che è arrivato in condizioni gravi ed è il marito della custode. Un’équipe lo sta operando».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 27 febbraio 2016