«La settimana che arriva sarà decisiva per capire se il processo riformatore va avanti oppure no. Non è in discussione la continuità del governo, ma l’efficacia della sua azione». Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro nel governo Berlusconi, è il presidente dei senatori del Nuovo Centrodestra.
La scorsa settimana si è confrontato con Cesare Damiano e con gli altri esponenti della maggioranza sulla riforma dei contratti e dell’apprendistato. Nell’occasione del varo del decreto alla Camera, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica hanno avvertito: «Al Senato ci sarà battaglia, cambieremo il provvedimento». Ora il testo arriva a Palazzo Madama.
Senatore, perché il decreto come è stato approvato dalla Camera non va bene?
«Le modifiche introdotte in Commissione dalla sinistra del Pd hanno ridotto della metà la spinta propulsiva al mercato del lavoro contenuta nel provvedimento. Non dimentichiamo quanto questo decreto sia considerato emblematico anche fuori dall’Italia. E quanto sia importante ed espressione di leadership, la capacità di un premier di sinistra di introdurre elementi di liberalizzazione del mercato del lavoro. Gli interventi in Commissione hanno oggettivamente incrinato la credibilità di Renzi. Per questo il tema non è solo quello di un negoziato. È qualcosa di più, la domanda se questo governo di coalizione anomala, che mette insieme socialisti e popolari su un tema storicamente divisivo come il lavoro, tragga dalla sua straordinarietà motivo di forza oppure di debolezza. È un segnale che diamo al Paese. La scelta del triennio non è limitata alla durata dei contratti a termine, ma è il tempo entro il quale potrebbe cambiare l’Italia».
Nel concreto, cosa chiedete?
«Dobbiamo ripristinare il testo iniziale sui contratti. A partire dalle sanzioni: la minaccia di trasformare in tempo indeterminato un contratto a tempo determinato, in caso di violazioni, inibisce le assunzioni al confine della regola, la cui interpretazione può essere discutibile. Così come, nel caso dell’apprendistato, eliminare il vincolo del 20 per cento degli apprendisti stabilizzati nei tre anni precedenti, è paradossale perché punisce quell’apprendista che potrebbe essere assunto».
Poi c’è il capitolo formazione.
«Sì, la formazione pubblica è fonte di complessità burocratica e di bassa qualità formativa. Mi fido di più dell’impresa che della Regione. Meglio che ci sia una libera scelta da parte dell’imprenditore».
La questione proroghe dei contratti a termine, abbassate da 8 a 5?
«Possono rimanere 5, ma non andare sotto. E poi, se è possibile, vorrei che si estendessero le flessibilità in questo triennio».
Il governo avrà un ruolo nella trattativa?
«Deve averlo, non può limitarsi a fare da spettatore del minimo comun denominatore tra i gruppi».
E sulle riforme istituzionali?
«Le parole di Renzi di queste ore sembrano sbloccare uno dei punti critici della riforma. È quella per cui alcuni consiglieri regionali diventano in via esclusiva senatori. Renzi sembra assumere la proposta del Nuovo centrodestra. Ma restano aperti due grossi nodi collegati: imbrigliare la finanza regionale e locale in Costituzione, con i costi e fabbisogni standard cui connettere il principio di supremazia dell’interesse nazionale e i commissariamenti. E ridimensionare i sindaci previsti nel Senato. Le competenze della nuova Camera, infatti, richiedono funzioni esclusive. E poi i sindaci sono un mondo, con poche lodevoli eccezioni, indebitato. Tra l’altro sarebbero solo gli apparati di partito a determinare la scelta dei sindaci, con il risultato che il sindaco di Pontassieve varrebbe come un rappresentante della regione Lombardia. Infine, i sindaci non sono legislatori mentre i consiglieri regionali sì».
Voi accusate spesso la sinistra di resistere ai cambiamenti. Ma quanto pesa ancora nel Pd?
«La sinistra italiana resiste sul lavoro e sulla spesa pubblica quanto Forza Italia sulle riforme. C’è un problema speculare tra Alfano e Forza Italia, e tra Renzi e la sinistra interna. Noi siamo per il cambiamento: a destra come a sinistra è il momento di far prevalere l’innovazione sulla propensione a conservare».
Alessandro Trocino – Corriere della Sera – 28 aprile 2014