Salari sempre più magri, morsi dall’inflazione e adesso persino bloccati per legge. Sono alcuni dei dati emersi dall’analisi “E’ questione salariale! Il lavoro nei servizi pubblici fra blocco dei contratti e tagli”. Dal 2000 gli aumenti contrattuali dei dipendenti pubblici sono stati pari al 22,3%, a fronte di un’inflazione del 29,9%, con una perdita del potere d’acquisto di 7,6 punti percentuali. Questo fenomeno è destinato ad acuirsi se il blocco della contrattazione pubblica proseguirà – allo stato attuale finisce alla fine del 2013, ma il governo è orientato a prorogarlo al 2014 –, denunciano i sindacati Fp-Cgil, Uil-Pa e Uil-Fpl in uno studio sulla questione salariale che sottolinea come nel triennio 2007-2010 per la dinamica delle retribuzioni pubbliche sia avvenuto «il riallineanento ai corrispondenti valori di crescita del settore privato».
Va detto che questo andamento non ha interessato in modo uniforme tutta la pubblica amministrazione: tra il 2001 e il 2010, secondo lo studio, c’è stato un incremento delle retribuzioni pari al 71,8% nella carriera diplomatica, al 57,8% in quella prefettizia e al 44,8% nella magistratura.
Ma non è solo la perdita del potere d’acquisto a preoccupare i sindacati che sottolineano anche la flessione delle retribuzioni complessive dei dipendenti pubblici. Per effetto del taglio delle somme relative al salario accessorio nel 2011 la retribuzione complessiva è scesa a 33.882 euro medi lordi, rispetto ai 34.652 euro del 2010. Lo studio prende in considerazione anche i redditi da lavoro nel pubblico impiego in percentuale al Pil, che in Italia sono pari all’11,1% (2010), in linea con la media Ue, rispetto al 13,4% della Francia al 7,9% della Germania e all’11,5% del Regno Unito. Inoltre il rapporto tra spesa per redditi e popolazione residente nel 2010 vede l’Italia con 2.849 euro, leggermente sopra la media dell’Europa a 27 (2.715 euro), mentre in cima alla classifica troviamo Irlanda, Belgio e Francia che superano i 4mila euro.
Per effetto del blocco del turn over in 10 anni il numero di dipendenti pubblici ogni 100 abitanti è passato da 6,4 a 5,8, in controtendenza con gli altri Paesi presi a confronto, Francia esclusa, dove il rapporto è del 9,4 e la flessione di appena lo 0,1. Il dato è destinato a calare a causa di un’accelerazione delle fuoriuscite (quasi 160mila nel solo 2010) e della mancata sostituzione del personale causata dal blocco del turn over. Per trovare un paese più virtuoso bisogna guardare alla Germania, con 5,4 lavoratori ogni 100 abitanti. «Questo rapporto può essere un modo per sfatare i miti circolati in questi anni», spiegano i sindacati anche se il limite di questo studio è che si tratta di un’analisi puramente quantitativa che non prende in considerazione la qualità e l’efficienza della nostra pubblica amministrazione».
Ilsole24ore.com – 8 dicembre 2012