Il maxiemendamento alla manovra su cui il Governo ha ottenuto ieri la fiducia al Senato conferma il «salva-Regioni», cioè la norma che prima di confluire nella legge di stabilità è stata approvata come decreto legge per consentire ai Governatori di spalmare in 30 anni i disavanzi prodotti dalla gestione dei fondi sblocca-debiti.
Confermata anche, ma più per rispetto del lavoro della commissione Bilancio che per convinzione politica del Governo, anche la sanatoria «fuori termine» delle delibere fiscali approvate in ritardo dai Comuni, che però è destinata a tornare in discussione alla Camera: nodi politici a parte, poi, per la sanatoria il problema nasce dal fatto che la manovra entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo, mentre Imu e Tasi vanno pagate entro il 16 dicembre. Anche il capitolo dedicato alla finanza locale, infatti, attende dal passaggio a Montecitorio molte risposte su questioni fondamentali, dall’avvio dei rimborsi per gli arretrati (valgono 700 milioni secondo le stime) delle spese sostenute in passato dai Comuni per il funzionamento dei tribunali alla revisione dei tagli da 500 milioni ancora in programma per le Province.
Il nodo Province si lega poi al problema delle possibilità di assunzione da parte delle altre amministrazioni locali, di fatto bloccate per la ricollocazione degli esuberi che però secondo i calcoli della Funzione pubblica sarebbero circa 2mila (si veda il servizio a pagina 22). I sindacati, poi, chiedono novità sui fondi per il riavvio dei contratti pubblici, che oggi contano 300 milioni e rappresentano l’ostacolo più grande nelle trattative avviate all’Aran per la riduzione a quattro degli undici comparti in cui oggi è divisa la Pa. L’elenco delle richieste, insomma, continua a essere lungo, ma inciampa sul problema delle coperture accresciuto dall’esigenza di trovare nuovi fondi per la sicurezza a causa dell’emergenza terrorismo.
Sul «salva-Regioni» ieri è intervenuto anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, dedicando al tema un focus in cui si spiega che la gestione dei fondi sblocca-debiti bocciata dalla Corte costituzionale non ha peggiorato i saldi di finanza pubblica, grazie al fatto che sui conti regionali vigilava comunque il Patto di stabilità (rispettato da tutti tranne che dal Lazio nel 2014) ma ha impedito i risparmi aggiuntivi che si sarebbero potuti creare attraverso scelte più oculate.
I tecnici dell’Ufficio parlamentare di bilancio elencano cinque casi di gestione sbagliata (che le Regioni ribadiscono essere stati avallati nel 2013 dal Governo), tutti accomunati dalla mancata “sterilizzazione” delle anticipazioni ottenute a suo tempo dal Governo: questi prestiti, ha spiegato in pratica la Consulta , servivano a pagare debiti già presenti in bilancio sotto forma di residui passivi, e quindi non avrebbero potuto cambiare i risultati di amministrazione e generare nuova capacità di spesa corrente. In ogni caso, spiega l’Upb, i dati mostrano che i prestiti arrivati dall’Economia sono stati utilizzati quasi integralmente. Il problema sono i disavanzi che si sono aperti nei conti regionali, e che possono essere coperti in 30 anni anziché in tre (o in sette nel caso del 2014). Per il Piemonte, la Regione interessata direttamente dalla sentenza costituzionale, significa passare da una “rata” annuale da 807 milioni a una da 471 milioni nei primi sette anni, a cui segue un impegno da 102 milioni per i 23 anni successivi.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 21 novembre 2015