Per i dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed altri enti pubblici centrali c’era stata quasi una corsa: l’accordo sul rinnovo contrattuale raggiunto a ridosso delle festività natalizie era stato poi firmato nella sua versione definitiva entro la prima metà di febbraio: così alla fine del mese scorso per i circa 240 mila lavoratori interessati erano arrivati gli arretrati, mentre gli aumenti a regime sono inseriti nella busta paga di marzo. Sempre a febbraio erano state concluse le intese per scuola, enti locali e sanità, che complessivamente coinvolgono oltre due milioni di persone. Ora si attende dunque il completamento delle procedure anche per questi tre comparti: i testi degli accordi devono ottenere il visto della Ragioneria generale dello Stato per quanto riguarda l’impatto finanziario e passano poi anche per la Corte dei Conti. Dai sindacati trapela un po’ di preoccupazione, anche vista la delicata fase istituzionale seguita alle elezioni del 4 marzo. Il timore è che ci sia meno pressione politica sulla vicenda e quindi che i tempi si allunghino..
L’ITER
«Auspichiamo che lo stallo della politica non incida sul completamento dell’iter visto che la vigenza dei contratti, tra l’altro, termina il 31 dicembre di quest’anno» ha detto all’Adnkronos Ignazio Ganga, segretario confederale della Cisl ricordando che i rinnovi appena conclusi riguardano il triennio 2016-2018 e dunque a partire dal 1 gennaio 2019, in teoria, si riapriranno le trattative per i nuovi contratti. «La procedura burocratica sembra più lunga del previsto. Ma siamo convinti che immediatamente dopo il via libera della Corte dei conti si potrà firmare e quindi dare via libera ad arretrati e aumenti» aggiunge Antonio Foccillo, segretario confederale Uil.
L’IMPORTO
Per quanto riguarda la scuola, per la quale l’intesa era stata raggiunta poco più di un mese fa, serve un passaggio in Consiglio dei ministri prima della firma finale all’Aran, l’agenzia pubblica che concretamente gestisce la contrattazione. Al momento sarebbero ancora in corso in particolare le verifiche tecniche della Rgs: se si concluderanno nelle prossime ore, teoricamente una prima finestra potrebbe aprirsi con il riunione della prossima settimana, che la presidenza del Consiglio è intenzionata a convocare mercoledì. Invece per sanità ed enti locali sarebbero quasi completati i passaggi con i comitati di settore, ovvero Regioni e Comuni, e quindi i testi sono arrivati o stanno per arrivare alla Corte dei conti, che presumibilmente sulla base dell’esperienza passata potrebbero impiegare una ventina di giorni per esaminarli. Poi i sindacati saranno convocati all’Aran e a quel punto gli aumenti retributivi potranno andare in pagamento.
In tutti e tre i comparti, come accaduto anche per lo Stato centrale e per Forze armate e corpi di polizia (che seguono un percorso diverso non essendo formalmente settori contrattualizzati) l’incremento mensile riconosciuto parte da un minimo di 80-85 euro e viene poi graduato in base alle particolarità delle diverse categorie. Una piccola parte della somma però è stata riconosciuta come voce separata della retribuzione con scadenza alla fine di quest’anno: dal 2019 poi dovranno iniziare le trattative per il triennio successivo.
I MEDICI
Intanto però c’è ancora una coda di questa stagione contrattuale: riguarda la dirigenza medica per la quale l’intesa appare ancora lontana. Nei giorni scorsi i sindacati di categoria hanno abbandonato il tavolo politico con il governo ritenendo non adeguate le garanzie fornite dall’esecutivo circa le risorse finanziarie: i rappresentanti dei medici le ritengono insufficienti e «inferiori a quanto concesso dallo stesso datore di lavoro per altri settori del pubblico impiego e del mondo sanitario».
Il Messaggero – 19 marzo 2018