Un anno e 4 mesi per Demattè e Toniolo, due per Puntin. Assoluzione per gli altri due imputati. Sentenza a novembre. Tosi, all´epoca assessore alla Sanità, è stato chiamato a testimoniare
Sulla punibilità della prima dazione di denaro (10mila euro consegnati in ottobre 2004 dal manager della Sanità privata all´ex presidente del consiglio comunale di Rovereto) ha operato il tempo, e quella corruzione si è prescritta. Riguardo al ruolo tenuto all´epoca dalla signora Bianca Salvalai, moglie del ragionier Giuseppe Puntin, e dal direttore generale della Solatrix di Rovereto, Gianfranco Turchini, il sostituto procuratore Paolo Sachar ha chiesto l´assoluzione ritenendo «fossero entrambi ignari dell´attività posta in atto da Puntin». E nel processo celebrato davanti al collegio presieduto da Dario Bertezzolo relativo alle mazzette in ambito sanitario la richiesta di condanna del pm è stata solo per tre imputati, tutti accusati di corruzione: un anno e 4 mesi per il trentino Fabio Demattè (il suo ruolo è ritenuto decisivo per quel che riguarda l´approvazione lampo di una delibera che stabiliva, in deroga, l´ampliamento della clinica privata Solatrix), un anno e 4 mesi per Franco Toniolo (all´epoca segretario regionale della Sanità veneta) e due anni per Giuseppe Puntin. La parola passa alle difese, la sentenza a metà novembre.
L´EX ASSESSORE TOSI. All´epoca era al vertice della Sanità del Veneto, Flavio Tosi nell´inchiesta avviata dalla procura di Trento non entrò mai, entrò quell´annotazione «dati 50.000 a To» che il gip La Ganga ipotizzò potessero essere denari destinati a lui, a Tosi. Non entrò mai, seguirono querele e controquerele e infatti poi emerse che quel «To» era Franco Toniolo ma per quanto riguarda la programmazione – in particolare la stesura del modello di delibera che avrebbe potuto spostare gli 80 letti della Chierego-Perbellini a Zevio invece che a Marzana – in quel periodo (ovvero dalla metà del 2005) il sindaco di Verona era l´assessore competente.
Ieri Flavio Tosi si è seduto sul banco dei testimoni, chiamato a deporre dalla difesa di Puntin (l´avvocato Luigi Sancassani). Perchè per l´accusa il denaro che il manager della Sanità privata diede a Toniolo (quei 50mila euro che il direttore generale ha sempre sostenuto fossero un prestito personale) aveva lo scopo «di indirizzare la programmazione sanitaria». La delibera non venne presentata in giunta: fu l´assessore a far togliere la proposta di portare i posti a Zevio (dove la società di Puntin stava attuando una sperimentazione gestionale). E ha spiegato perchè.
«Conoscevo Puntin anche prima della nomina, quando ero consigliere regionale. Per quel che riguarda la Chierego Perbellini il 2005 fu un periodo particolare, sapevo che il manager faceva parte della struttura ed era in atto una trasformazione». In ballo c´era il trasferimento dei posti letto e Puntin ne parlò all´assessore Tosi: «la loro proposta era di spostarli a Zevio, dove era in atto una sperimentazione e dove già gestivano posti letto. Lo scopo era di non parcellizzare i servizi, la struttura era più efficiente ed efficace». E fu lo stesso Tosi a chiedere all´ufficio del funzionario Martello di predisporre un modello di delibera che sarebbe stata esaminata dalla giunta, poi inviata alla V commissione e quindi rimessa alla giunta che avrebbe recepito le osservazioni. Ma fu sempre l´assessore Tosi, nel 2006, a «cassare» quel modello. «Sì, la proposta venne tolta, fui io a stabilirlo per una forma di autotutela visto quello che era successo (l´oggetto del processo, ndr)». Passata la bufera i posti letto furono poi spostati a Zevio? gli ha chiesto il pm. «Beh passata non direi visto che siamo qui, ma poi i posti furono portati a Marzana, la programmazione seguì il suo corso».
IL DIRETTORE GENERALE. All´epoca era direttore generale dell´Ulss 20. Ermanno Angonese ha spiegato di conoscere Puntin da almeno 20 anni. «Venne da me nel 2004-2005, in quel periodo la programmazione regionale prevedeva il trasferimento dei letti della Chierego Perbellini a Marzana e lui prospettò una soluzione diversa. Premetto che c´era una carenza di strutture riabilitative e l´idea era di concentrarle in un unico polo. A Zevio era in atto la sperimentazione gestionale per la riabilitazione, è vero che era fuori dalla mia Ulss ma comunque vicino alla città e poteva rappresentare un polo per la riabilitazione. Ribadisco che per me era fondamentale che fosse un polo unico, che fosse Marzana o Zevio era un problema della Regione».
Non era indifferente la sistemazione e nel 2005 scrisse anche lui a Martello segnalando le carenze della struttura di Marzana e chiedendo un intervento rapido per soddisfare le richieste della gente. «A me nessuno fece pressioni, ma era importante la riconversione e soprattutto colmare la carenza di posti per post-acuti. Sapevo che l´interesse a Verona era di mantenere Marzana, dove sono poi confluiti i posti letto».
L’Arena – 26 settembre 2012