È ormai la spesa privata delle famiglie a salvare la sanità pubblica. Spese che possono sostenere le fasce di reddito più elevate e in particolare al Nord, mentre al Sud, con Campania e Sicilia ultime in classifica, l’accesso alle cure, come l’abbandono o il rinvio delle cure stesse, la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale rischia di diventare sempre più un optional. Mentre Governo e regioni si confrontano sui tagli da 4 mld previsti per i i governatoridalla manovra 2015, arrivano dati per tanti versi inediti sulla sanità pubblica dal rapporto del «Crea sanità» dell’università romana di Tor Vergata. Il rapporto, presentato ieri alla Camera e curato dal professor Federico Spandonaro, illustra nel dettaglio tutte le anomalie che caratterizzano il Ssn. A partire dalla fortissima riduzione dei disavanzi di asl e ospedali, che dal 2005 sono calati del 79,5% e non si concentrano affatto tutti al Sud, dato che però non va letto con ottimismo.
Accade infatti che l’Italia spende sempre meno nella media Ue-14 con una forbice che nel 2012 è cresciuta a -25,2%, che per gli anziani è addirittura del -35%. Col Nord a -20% e il Sud a -33, una differenza tra Valle d’Aosta e Campania del 48% (3.184 euro pro-capite contro 2.147) e col Sud che ha una potenzialità di spesa in media inferiore del 50 per cento.
Abissi del malsano federalismo sanitario d’Italia. Dove per la prevenzione siamo sempre più indietro, quasi non fosse uno dei (se non il principale) fattore di rilancio, inclusa la carenza di risorse (se ben spese) per gli inve stimenti, altro capitolo in chiaroscuro del Ddl di stabilità 2015 che sta facendo litigare palazzo Chigi e i governatori. Ma accade ancora, nel Beipaese della salute pubblica, che negli ultimi 5 anni siano cresciuti i casi di “razionamento” delle cure, a partire dall’accesso ai nuovi farmaci, che nel confronto con Germania, Inghilterra e Francia ci vede indietro nei tempi di accesso al mercato anche fino al 75%. Tutto questo, mentre in ben 11 regioni (Sud e Centro in testa) l’assistenza a domicilio dei disabili è sotto la soglia del 4% del totale. Non esattamente quello che dovrebbe avvenire in un Paese civile e uguale da nord a sud. Il federalismo, appunto. E i troppi e malsani ritardi dei sistemi sanitari locali. Che poi sia la spesa privata a salvare quel che il Ssn non riesce sempre e ovunque a dare, non può stupire. Ne è la logica conseguenza. Con spese locali distanti anche fino al 40%, tra i mille euro procapite della Valle d’Aosta e i 200 della Campania, dove poi il servizio pubblico è più ammalato. Come dire, due bastonate insieme, anche perché tra ticket e super addizionali i cittadini pagano doppio l’essere del Sud. (Roberto Turno – Il Sole 24 Ore)
Il Rapporto
L’emergenza finanziaria è temporaneamente rientrata. Dal 2005 al 2012 il disavanzo si è ridotto del 79,5% (anche grazie ai piani di rientro), ed ora è ripartito quasi uniformemente tra Nord, Centro e Sud. Gran parte dei “risparmi” sono, però, per ora da attribuirsi alle azioni messe in atto nei confronti del privato. Quindi, non è ovvio, sottolinea il Report, che le politiche di accentramento regionale abbiano prodotto effetti eclatanti di risparmio. Un trend che dimostrerebbe tra l’altro che «il federalismo, voluto innanzitutto per ragioni di responsabilizzazione finanziaria, non è stato un fallimento».
Un Ssn sempre più «sobrio» ma al Sud si spende ancora meno. L’Italia per la Sanità spende molto meno degli altri Paesi europei: il gap fra spesa sanitaria pro-capite italiana e Paesi Ue14 continua ad allargarsi, arrivando al -25,2% nel 2012. In rapporto alla popolazione over 65 è addirittura al -34,9%. E in questo caso le differenze Nord-Sud permangono: le Regioni settentrionali hanno un gap di spesa sanitaria verso Ue14 del -20,1%, mentre in quelle meridionali il gap raggiunge il -33,3%. Un dato che resta tale anche eliminando l’effetto demografico (nelle regioni del Nord la popolazione è mediamente più anziana e quindi la spesa sanitaria è maggiore). Fra la Valle d’Aosta e la Campania il differenziale di spesa rimane infatti del 48,3% (€ 3.184 vs. € 2.147): dimostrando così che i cittadini del Sud hanno una spesa pro-capite di circa il 50% inferiore a quella di molte Regioni del Nord.
Ssn pronto per il passaggio alla fase del risanamento. Dopo il superamento dell’emergenza finaziaria, i tempi sono maturi per il passaggio alla “fase 2”. «Si inizia ora a valutare l’efficienza, cercando di verificare in che misura il risanamento finanziario sia accompagnato dall’adeguamento quali-quantitativo dei servizi erogati. Lo strumento principe per questa analisi è la “griglia LEA” elaborata dal Ministero della Salute». Esistono però Regioni promosse a pieni voti nel 2011 (anche regioni benchmark per i costi standard) per le quali si registra un eccesso di rinunce alle cure per motivi economici o casi di impoverimento e spese catastrofiche.
Invecchiamento della popolazione non fa rima con bancarotta. L’invecchiamento non porterà alla bancarotta del sistema sanitario italiano: i tassi di cronicità di alcune patologie croniche si sono ridotti grazie alla prevenzione e le nuove tecnologie hanno ridotto in molti casi il ricorso all’ospedalizzazione. Ulteriori risparmi si sono ottenuti grazie alle genericazioni, che permettono oggi di curare le cronicità con costi molto più bassi. L’allungamento dell’aspettativa di vita è effettivamente una grande conquista, purché non si rinunci agli investimenti in educazione e prevenzione primaria e secondaria. Per misurare l’impatto dell’invecchiamento, conclude il Rapporto Crea, sarebbe preferibile abbandonare indicatori quali la quota di popolazione anziana, adottando misure che si riferiscono al numero di persone che si avvicinano alla fine vita: fortunatamente, questi ultimi indicatori crescono relativamente poco.
Prevenzione ancora insufficiente. Nonostante per alcune variabili l’Italia abbia una performance migliore di altri Paesi europei, i miglioramenti negli ultimi anni di indicatori attinenti a fattori di rischio (specie obesità infantile e riduzione del consumo di tabacco) risultano non soddisfacenti. Rimangono poi enormi le variabilità regionali in tema di adesione agli screening obbligatori. Dalle analisi si evince un investimento insufficiente a livello nazionale nelle politiche di promozione degli stili di vita salutari, e a livello regionale il rischio che le risorse da destinare alla prevenzione siano distolte per compensare gli sprechi in altre voci di spesa o contenere i disavanzi.
Innovazione: in Italia accesso a ostacoli. I consumi italiani dei nuovi farmaci autorizzati a livello europeo (EMA) negli ultimi 5 anni, sono radicalmente inferiori a quelli medi di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, variando a seconda delle aree terapeutiche fra il 35,7% e il 79,1%. Analogamente, le adesioni medie (Passi 2010-2012) della popolazione target all’interno dei programmi di screening variano fra: il 7% di Puglia e Sicilia e il 64% di Emilia Romagna per lo screening colorettale; il 21% della Campania e il 74% della P.A. Trento per quello mammografico; il 13% della Liguria e il 72% della Valle d’Aosta per lo screening della cervice uterina. Altro settore a rischio è quello della non-autosufficienza: considerando l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), nel 2012 la sola Emilia Romagna supera il 10% di anziani over 65 assistiti a domicilio e ben 11 Regioni rimangono sotto il 4%.
Spesa Out Of Pocket a macchia di leopardo. Uno dei maggiori determinanti di iniquità in Sanità è il diverso ricorso alle spese out of pocket: le differenze regionali sono notevoli (oltre il 40%) e risultano determinate da un insieme di fattori, fra cui i livelli di reddito delle famiglie e quelli delle compartecipazioni. In campo farmaceutico, le spese dirette “sgravano” il sistema pubblico da oneri, aiutando di fatto a mantenerne la sostenibilità: i farmaci di classe A (eleggibili al rimborso pubblico) acquistati direttamente dalle famiglie sono cresciuti del 69,4% fra il 2003 e il 2013. Le compartecipazioni farmaceutiche incidono molto più nel meridione che nel settentrione (7,7% sulla spesa farmaceutica della Regione Sicilia, contro il 2,2% della P.A. di Bolzano).
Non-autosufficienza in ordine sparso. Secondo le stime degli esperti Crea, per la non-autosufficienza nel 2012 si spendono circa 27,7 mld., di cui il 28,5% per prestazioni sanitarie e il resto per quelle sociali e in denaro. La spesa privata è di circa il 7,7%. Complessivamente siamo al 1,8% del PIL, valore non dissimile a quello medio europeo. Nella gestione della non-autosufficienza, il problema rimane l’eccesso di frazionamento dei fondi e delle relative responsabilità: le varie prestazioni in molti casi si sovrappongono e, peggio, rispondono a requisiti per l’accesso disomogenei; ad esempio, alcune sono legate al reddito e altre ne sono del tutto indipendenti, con il rischio di generare razionamenti in alcune aree e privilegi in altre.
La selettività pre-condizione per ampliare l’accesso all’innovazione. La capacità di investimento sembra essere l’elemento di sistema più in sofferenza, e in particolare mette a rischio l’innovazione. Perdurando la crisi economica, la strada da intraprendere per sostenere gli investimenti in innovazione, sembra pragmaticamente obbligata: la ridefinizione delle priorità degli interventi pubblici, selezionando quelli più meritori, ovvero quelli che impattano di più sui bilanci delle famiglie e quindi possono creare barriere all’accesso. La selettività passa per una radicale riforma delle esenzioni e delle compartecipazioni, ma data la nota incapacità italiana di combattere l‘evasione, come second best, potrebbero anche essere prese in considerazione politiche di delisting (dal prontuario). Nel settore farmaceutico, nel 2013 il 36,7% del consumo di classe A è a fronte di confezioni con prezzo inferiore a € 10. Si tratta di un consumo che ammonta a circa € 3,25 mld. (di cui € 1 mld. per le confezioni sotto € 5) di cui basterebbe “selezionare” la metà per garantire ampia sostenibilità alle innovazioni in arrivo sul mercato.
LE SETTE PROPOSTE DEL RAPPORTO SANITA’ CREA
1. l’opportunità di avere un quarto LEA per la prevenzione, estrapolandolo dall’Assistenza Collettiva e ricongiungendoci tutte le attività collegate, in modo da garantire che ci sia un vincolo di destinazione delle risorse e una possibilità di controllo sulla destinazione degli investimenti (urgentissimi in tema di stili di vita e prevenzione primaria);
2. la riforma strutturale, e in una logica selettiva, delle esenzioni e delle compartecipazioni, garantendo l’esenzione solo alle famiglie in assoluto più fragili ed estendendo la compartecipazione a tutte le prestazioni, diversificandola in base alla condizione economica;
3. la creazione di un fondo vincolato per l’innovazione, in particolare quella farmaceutica, la cui governance è molto stretta, alimentabile con le compartecipazioni o al limite con il delisting delle terapie a bassissimo costo;
4. la riforma e il coordinamento degli istituti che comportano erogazioni per i non-autosufficienti, riunificando le regole di accesso (ad esempio con regole comuni relative alla valutazione multidimensionale) e garantendo una governance unica del sistema;
5. il potenziamento degli strumenti di valutazione delle performance, specialmente qualitativa, allargando la partecipazione alle valutazioni a tutti gli stakeholder del sistema, e integrandone poi i risultati nelle regole di accreditamento, in modo da condizionare la permanenza sul mercato delle strutture, oltre che all’equilibrio finanziario, anche all’eccellenza assistenziale e organizzativa (fra cui l’uso della ICT), il tutto misurato secondo le regole della revisione fra pari;
6. il ripensamento dell’aziendalizzazione, garantendo l’omogeneità delle valutazioni delle performance aziendali e, quindi, una maggiore accountability dell’attività dei Direttori Generali e delle Aziende; rianalizzando anche gli impedimenti normativi all’esplicarsi della reale autonomia aziendale e ripensando un modello che di fatto non prevede sanzioni di mercato per le strutture inefficienti;
7. un maggiore e più coordinato investimento nei sistemi informativi, sia per ciò che riguarda le aree ancora scoperte (residenziale, domiciliare, etc.), sia per quanto concerne l’armonizzazione dei dati a livello nazionale e internazionale.
Il Sole 24 Ore – 30 ottobre 2014