Il Sole 24 Ore domenica. I numeri sono roboanti: 10 miliardi in più spalmati da qui al 2023 per la Sanità. Un impegno fino alla fine della Legislatura che il premier Giuseppe Conte ieri ha annunciato in una conferenza stampa al ministero della Salute (una scelta simbolica, rispetto al consueto Palazzo Chigi) in occasione dei primi cento giorni del Governo giallorosso: «Mi piacerebbe lanciare un patto sulla Salute e sforare o sfiorare i dieci miliardi di investimenti».
Al suo fianco il ministro della Salute Roberto Speranza che non nasconde la soddisfazione per la «fine della stagione dei tagli» in Sanità e l’«impegno storico» di 10 miliardi di aumento del Fondo sanitario fino al 2023 dopo aver incassato in manovra forse il massimo risultato possibile con le poche risorse a disposizione: c’è infatti la conferma dei 2 miliardi in più per il 2020 (previsti già l’anno scorso ma una volta tanto risparmiati dai tagli); c’è l’addio al superticket dal 1 settembre su visite ed esami che vale oltre 500 milioni l’anno, ci sono 2 miliardi in più per l’edilizia sanitaria di cui 235 milioni saranno spesi per la piccola diagnostica – dalle Ecg agli spirografi – da destinare ai 50mila studi di medici di famiglia e pediatri in modo da provare a ridurre le liste d’attesa e l’affolamento nei pronto soccorso. Ma c’è soprattutto la prima seria risposta all’allarme carenza medici e personale che ha messo in ginocchio molti ospedali: nel decreto fiscale sono stati infatti rivisti al rialzo (non aboliti come avrebbe voluto Speranza) i tetti di spesa per le assunzioni che passano dal 5% calcolato sull’incremento dei fondi per il 2019 (50 milioni) al 10% (15% se ci sono comprovate esigenze di personale) sugli aumenti nel 2020 e nel 2021 (in tutto almeno altri 350 milioni). Una dote base di 400 milioni che dovrebbe consentire di assumere più di 2mila medici e 5mila infermieri. A queste forze fresche vanno aggiunte 32mila stabilizzazioni di medici e infermieri e di mille ricercatori di Irccs e Izs: la manovra estende infatti i requisiti della legge Madia ai precari del Ssn (con almeno 3 anni in servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni) al 31 dicembre 2019.
Fin qui le buone notizie che faranno rifiatare il personale che lavora nel Servizio sanitario nazionale con i 130mila medici del Ssn che dopo la sigla del nuovo contratto attesa per il 19 dicembre incasserano in busta paga anche aumenti medi di circa 200 euro lordi al mese.
In realtà gli ostacoli per il ministro Speranza cominciano già da questa settimana. Giovedì si saprà l’esito del braccio di ferro con le Regioni sul Patto della Salute, l’accordo quadro che il ministero della Salute e il Mef stipulano con i governatori per decidere la govenance della Sanità per i prossimi 3 anni. In realtà alcune delle misure previste nel Patto – come quelle sulle assunzioni del personale – sono già entrate in manovra. E per questo il ministro si dice «ottimista» che in Conferenza Stato-Regioni si trovi l’accordo che va comunque siglato entro fine anno per non perdere i 3,5 miliardi di aumenti previsti per il Ssn (2 miliardi per il 2020 e 1,5 per il 2021). Le distanze restano però ancora su temi caldissimi come il restilyng dei commissariamenti in Sanità che i governatori vogliono rivedere in profondità (le Regioni non vogliono finire come in passato nella morsa del Mef e della Salute). Ma tra le partite ancora aperte e non affrontate in manovra c’è anche la revisione dei tetti della farmaceutica che oggi vedono le industrie ripianare gli sforamenti miliardari della spesa. Infine forse la sfida più difficile: la revisione della compartecipazione della spesa – i ticket – in base al reddito. Speranza ha annunciato una profonda riforma che però rischia di diventare un boomerang se alla fine colpirà i ceti medi.
Marzio Bartoloni