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Sanità pubblica celebra l’Unità meglio di inni e marcette

Abbiamo festeggiato l’Unità d’Italia celebrando guerre e battaglie. Ma ci siamo dimenticati di ricordare una delle nostre più importanti conquiste: la sanità pubblica. Potrà sembrare eccessivo di fronte ai quotidiani casi di malasanità. E giusto denunciarli, cercarne i responsabili. Ma è indispensabile ricordarci quella conquista che ha pochi uguali nel mondo.

 E lecito essere, una volta tanto, orgogliosi. C’è voluta l’Onu per farci apprezzare la validità del nostro sistema sanitario: secondo solo a quello francese. Ben davanti a Stati Uniti e Inghilterra che spesso ci guardano dall’alto in basso. Sì, noi e i nostri ospedali spesso scalcinati, i medici e gli infermieri che a volte guardiamo senza il giusto rispetto. Perché quella parola un po’ asettica, sanità, in fondo vuole dire vita. Certo, più facile spendere parole di circostanza ricordando avvenimenti lontani, versare qualche lacrima evocando sentimenti astratti e meno impegnativi. I libri di storia dedicano pagine e pagine al Risorgimento. Giusto conservarne memoria, per carità, ma quell’Italia che Cavour forse troppo ottimisticamente dava per fatta è rappresentata anche da conquiste come la sanità che oggi diamo per scontata. Peggio, che rischiamo di svendere ai privati e di fare a brandelli con ragionieristici tagli. per Abbiamo festeggiato i 150 anni dell’Unità d’Italia celebrando guerre e battaglie. Ma ci siamo dimenticati di ricordare una delle nostre più importanti conquiste: la sanità pubblica

Mentre medici e infermieri che ci salvano la vita lavorano per stipendi cento volte inferiori a quelli di finanzieri che maneggiano solo denaro. Ancora una volta forse dovremmo cercare il senso profondo delle parole. Scopriremmo che cosa voglia dire davvero quell’espressione ridotta a formula burocratica: sistema sanitario nazionale. Significa, prima di tutto, uguaglianza. La sofferenza (anche prima di arrivare alla tragica “livella” della poesia di Totò) ci rende uguali. Questo ci ha garantito, ha provato a farlo, la nostra sanità: assistenza dignitosa per tutti. Per chi ha i mezzi e chi non li ha. Per chi ha un certificato di cittadinanza e chi viene liquidato come “clandestino”. Siamo tutti persone. Ma ancora: più dei discorsi solenni, lo spirito di unità nasce dal sostegno che una comunità – questo è uno Stato – sa dare ai singoli individui. Curandoli e accompagnandoli anche quando non riesce a guarirli perché non si sentano soli. Il resto è retorica. E vero: in America, per dire, esistono centri di eccellenza, ma il livello medio di assistenza medica è inferiore al nostro. La riforma Obama è ben lontana dalla legge del 1978 che rischiamo di indebolire. Questo significa “sanità”. Ma anche libertà, perché solo un’assistenza adeguata consente a tutti, anche a chi è malato, di essere liberi, di condurre un’esistenza piena e dignitosa.

Insomma liberté, égalité, fraterni-é, come dicono i francesi. Vero, la sanità è anche specchio dei nostri mali: dell’ingordigia dei partiti che hanno occupato le poltrone, garantendosi la sopravvivenza, ma mettendo a rischio quella dei cittadini. Che dire poi della corruzione: un medico che intasca una mazzetta per far comprare un farmaco non appropriato non è solo corrotto. E anche responsabile del rischio cui sottopone i pazienti. Perfino della loro morte. Ed è anche colpa dell’evasore fiscale che sottrae denaro alle casse pubbliche se gli ospedali non hanno risorse per salvare vite umane. Le menzogne prima o poi emergono. Capiterà a ognuno, a noi o ai nostri cari (è inutile che facciamo gli scongiuri leggendo!), di trovarsi di fronte alla malattia. Allora non resterà che augurarci di essere assistiti dal medico migliore, non da quello con la tessera di partito. Siamo ancora in tempo per salvare la nostra sanità. Prima che sia svenduta ai privati con appoggi a destra, a sinistra oppure in ambienti religiosi. E nostra, non lasciamocela togliere. Garantisce la nostra vita. E ci ricorda cos’è l’Italia. Più di tanti mausolei e marcette.

Il Fatto quotidiano – 19 novembre 2012

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