«Non metteremo le mani nelle tasche dei veneti, lo escludo nel modo più assoluto. Anche questa volta riusciremo a far fronte ai tagli di Roma senza ripristinare l’addizionale Irpef». È parola dell’assessore alla Sanità, Luca Coletto. Certo quei 240 milioni in meno pesano, eccome se pesano. Il governo li aveva promessi, al Veneto come alle altre Regioni (il fondo sanitario nazionale si sarebbe dovuto rimpinguare con 2,3 miliardi di euro in più rispetto al 2014), per fronteggiare l’aumento dei costi dei farmaci per l’epatite C e dei farmaci oncologici innovativi, e compensare il ritocco agli stipendi di medici, infermieri e amministrativi appena sbloccato dalla Corte costituzionale (si vocifera di uno 0,4% su un monte salari complessivo di 2,7 miliardi). E invece niente, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin s’è vista costretta a fare marcia indietro, perché la legge di Stabilità 2015 non consente slanci di generosità.
Ergo, la Regione dove troverà i soldi che mancano all’appello? Una delle voci sono i risparmi sui fondi per le contrattazioni integrative e i trattamenti accessori del personale. Coletto promette: niente tasse (l’addizionale Irpef, che scatterebbe da maggio 2016, se fissata all’1% varrebbe all’incirca 200 milioni). E assicura: «Non ridurremo le prestazioni inserite nei Lea (i livelli essenziali d’assistenza, ndr ) e neppure le prestazioni extra Lea». Il che significa che margini per rendere più efficiente il sistema ce ne sono ancora. «Sono anni che applichiamo una severa spending review – replica l’assessore – e continueremo a farlo, non abbiamo bisogno che sia il governo Renzi a dircelo. Il presidente Zaia ha già depositato altre proposte di riforma, dall’Azienda Zero alla riduzione delle Usl, che ci permetteranno di realizzare nuovi risparmi. Il punto è un altro: perché noi continuiamo a tirare la cinghia, a migliorare un sistema che è già un’eccellenza europea ed è preso a riferimento per i costi standard in Italia, mentre altrove non si muove un dito e si va avanti come sempre?».
La risposta starebbe proprio nei costi standard (se una siringa in Veneto costa 4 centesimi non può costarne 60 in Sicilia), se non fosse che questi, pur previsti per legge, in realtà non vengono applicati, con gran scorno anche del Pd. La spesa storica (hai speso tot gli anni scorsi, fosse anche un’enormità? Continuo a darti tot) resta il criterio base per il calcolo del riparto sanitario, anche se proprio giovedì a Roma il ministro Lorenzin ha accolto la richiesta del Veneto di non cedere al pressing di chi vorrebbe allentare i costi standard, che vanno anzi imposti una volta per tutte. Se così non sarà, Zaia è già pronto a ricorrere alla Corte costituzionale. Intanto il budget si assottiglia e il Veneto si sorbisce il consueto taglio lineare (l’8% del totale nazionale, la «quota d’accesso» calcolata in base alla popolazione): «Lo stesso ministero delle Finanze ha sottolineato che ormai la sanità è rimasta l’unico ambito in cui anno dopo anno si continua a tagliare, senza sosta – dice Coletto -. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a Grecia e Portogallo, dove l’aspettativa di vita è di gran lunga inferiore che da noi».
Detto che qui la spesa farmaceutica è già stata ridotta, la rete ospedaliera e laboratoristica razionalizzata, il budget per le cliniche private abbassato e le prestazioni sono state rese più appropriate alle reali esigenze dei pazienti, il direttore generale della Sanità Domenico Mantoan si prepara ad impugnare di nuovo le forbici (prima riunione lunedì, la delibera approderà in giunta la settimana successiva), come da indicazioni contenute nell’intesa raggiunta nella capitale: «Si dovrà ridurre del 5% la spesa relativa all’acquisto di beni e servizi, del 5% il costo dei dispositivi medici, dell’1% il budget delle strutture ambulatoriali private accreditate e risparmiare sui fondi contrattuali dei dipendenti che finora eravamo riusciti a salvaguardare – spiega Mantoan -. Siamo tenuti a procedere, pena il rischio di un’indagine della Corte dei conti, ma è indubbio che queste misure ci espongono al rischio di ricorsi da parte dei fornitori, perché comunque si va ad incidere su contratti in essere». Già, perché non bisogna scordarsi che il riparto messo a punto con tale e tanta fatica è quello di quest’anno. E siamo a luglio. Con buona pace delle Usl, costrette a cambiare in corsa la loro programmazione.
«Azienda 0» e meno Usl nei piani del governatore
La riorganizzazione del sistema sanitario, nell’ottica del risparmio e di una maggior efficienza, occupa una parte importante del programma di governo del presidente Luca Zaia, che sull’argomento ha già depositato in consiglio i primi disegni di legge. Si parte dalla creazione dell’Azienda Zero, che assorbirà tutte le attività e le funzioni tecnico-amministrative oggi svolte dalle 22 Usl, mettendo fine alle duplicazioni di costo e realizzando economie di scala e una maggiore specializzazione, grazie anche allo svolgimento di gare d’appalto centralizzate. Di pari passo, Zaia pensa ad una riduzione delle Usl: gli studi della Regione parlano di «bacini ottimali» tra 200 e 300 mila abitanti ma in campagna elettorale il governatore si è sbilanciato fino ad indicarne una per provincia.
La Regione dovrà poi completare il processo di razionalizzazione della rete ospedaliera , delineando reti cliniche funzionali ed estendendo modelli ospedalieri in cui la degenza venga definita sulla base della similarità dei bisogni (complessità clinica e intensità di cura richiesta). L’orientamento è quello di ridurre il «carico improprio» che oggi grava sulle strutture ospedaliere, rinviando al territorio la presa in carico della cronicità secondo logiche di rete e di sostenibilità del sistema. In tale ambito sarà rivisto anche il ruolo del pronto soccorso e del 118, con centrali operative su base provinciale. Infine, le medicine di gruppo integrate, forme associative evolute tra i medici di famiglia in grado di garantire assistenza ai pazienti con per 24 ore e 7 giorni alla settimana, festivi compresi.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 4 luglio 2015