Riunioni fiume di maggioranza per sbloccare le “schede sanitarie”, cioè i documenti di programmazione destinati a modificare in modo irreversibile il modello pubblico di cura nel Veneto.
In settimana, capigruppo e assessori di Lega e Pdl hanno discusso a più riprese tagli, aggiustamenti e spending applicata al sistema ospedaliero. Un tira e molla condizionato da pressioni territoriali e di lobby, che ha costretto l’assessore Luca Coletto e il segretario generale Domenico Mantoan a un arbitrato tra mozioni contrapposte. Nella stretta finale ha fatto capolino il governatore Luca Zaia e la sua mediazione è valsa non poco a raggiungere un’intesa sostanziale.
Qualche perplessità rimane, soprattutto da parte del presidente della commissione sanità Leonardo Padrin che lamenta la persistenza di sprechi e doppioni, ma il via libera all’approvazione delle schede è arrivato e la giunta, probabilmente, sancirà l’approvazione nella seduta di martedì.
Quali sono i cardini della manovra? Il punto più delicato riguarda la riduzione dei posti letto, peraltro obbligatoria per legge. L’indice di spedalizzazione è ricalibrato su 3 posti letto per mille abitanti; attualmente sono circa 20 mila, dovranno scendere (in un arco quinquennale) a 17.500, 15 mila riservati ai pazienti acuti e i restanti alla riabilitazione.
Attenzione: non si tratterà di un taglio netto perché i 2500 posti letto in esubero saranno in parte riconvertiti negli ospedali di comunità (quelli di secondo grado rispetto agli “hub” dei capoluoghi) e un’altra quota, pari a 4-500 unità, sarà riservata ai pazienti extraveneti. Morale della favola? Il saldo netto sarà di mille degenze in meno e la mappa dei tagli, su base provinciale, prevede -400 posti letto pubblici a Verona (la più colpita); -150 a Venezia; – 100 a Belluno e Rovigo (la penalizzazione iniziale era più elevata ma in extremis hanno strappato una briciola in più); – 70 a Padova e Treviso; immune, invece, Vicenza, già sottoposta a una cura dimagrante negli anni scorsi.
A completare la quota, il centinaio di unità sottratte alla sanità privata, a sua volta a chiamata a contribuire alla ristrutturazione. Ma in ballo ci sono anche i primariati, che scenderanno progressivamente a 750 dagli 850 attuali. In questo caso, più che di uno sfoltimento drastico, si tratta di un blocco del turnover: attualmente le posizioni apicali scoperte sono, appunto, un centinaio e spesso riguardano reparti in via di smantellamento oppure “doppioni” in ospedali limitrofi. Capitolo chiuso? No di certo, una volta licenziata dalla giunta, la riforma della sanità regionale approderà in commissione e poi nell’aula del Consiglio veneto. Assalti alla diligenza in vista.
Il Mattino di Padova – 16 giugno 2013