Il 15% circa del pil prodotto in Veneto, intestato ad aziende venete, viene realizzato fuori dall’Italia, soprattutto in Croazia e Romania, e due anni fa era circa un terzo in meno. La «secessione di fatto» del Veneto inizia a filtrare dalle cifre ufficiali delle statistiche.
L’emorragia delle aziende del Triveneto verso Romania, Croazia, Serbia si è accentuata e, senza rumore, ha fatto nuovi proseliti nel ceto scontento delle piccole e medie imprese. Ma c’è anche una secessione del turismo: con i veneti che vanno a spendere in Croazia o in Carinzia, e non più sulle loro coste.
C’è una secessione della nautica, con circa 2 mila yacht privati che stanno migrando via dai porti veneti per annidarsi oltre confine, a prezzi frazionali e senza il rischio dei blitz dell’Agenzia delle entrate. C’è una secessione delle seconde case, sempre più messe in «vendesi» in Veneto e acquistate oltre frontiera. E c’è una secessione dei talenti, con i ragazzi veneti che non si lasciano più attrarre a Padova, città universitaria per antonomasia, ma vanno fuori regione e quando possono fuori Italia, quanto e più dei meridionali. Di questo quadro socio economico disarmante sono consapevoli le istituzioni locali e i partiti, la Lega per prima.
C’è chi si chiede se e come cavalcare il fenomeno per recuperare consenso. O cavalcarlo condividendolo. E quando il governatore leghista Luca Zaia ha espresso la sua comprensione per i cittadini del comune bellunese di Sappada e di quello veneziano di Cinto Caomaggiore, che hanno referendariamente chiesto di potersi trasferire nelle province di Udine e Pordenone – Regione autonoma del Friuli Venezia Giulia, non voleva fare il piacione: semplicemente manifestava tutta la sua rabbia verso un’impotenza istituzionale che, dopo 15 anni di Lega al governo, con buona pace della pseudoriforma federalista, incastra comunque una regione come il Veneto negli stessi identici ambiti asfittici di un Molise qualsiasi.
Che margine di recupero politico c’è, in una simile situazione degenerata? Minimo. La gente va a Klagenfurt a comprare un Rolex da regalare al fidanzato perché sa che, almeno, il gioielliere della Carinzia non sarà tenuto a segnalare l’acquisto al fisco, lo shopping frontaliero è impazzito, le imprese chiedono ai loro politici locali semplicemente la «grazia» di potersi evitare viaggi a Roma. Difficile per chiunque, a cominciare proprio dalla Lega, recuperare consenso al di fuori di un disegno di autonomizzazione, non più di «presa federalista» sul potere nazionale. Dalla secessione di fatto a una separazione di diritto che per lo meno assimili la vita istituzionale veneta agli standard delle regioni autonome.
Italia Oggi – 4 agosto 2012