La siccità che sta devastando mezzo mondo fa crollare i raccolti. Risultato: farina, mais e carne in autunno andranno alle stelle. Con gravi conseguenze per milioni di persone. E rischi di rivolte in molti Paesi
La Fao ha chiesto a Washington di ridurre la quota di mais destinata all’etanolo e di dirottarla alla catena alimentare
Michael Sims, per definire se stesso, ha utilizzato il titolo di una delle più famose ballate di Bruce Springsteen. Dice che lui è “Born to Farm”, nato per coltivare la terra. Michael è fortemente legato alla sua terra. A Claruth, in Ohio, possiede 800 ettari piantati a mais e soia, oltre a un paio di centinaia di vacche e pecore. Da settimane rende pubblico il suo stato d’animo, che oscilla tra speranza e delusione, buon umore e depressione. Lo fa con una raffica costante di tweet che raccontano il dramma della siccità che ha colpito gli Stati Uniti. «C’è un bisogno disperato di pioggia. Le piante di mais sembrano ananas», twitta il 2 luglio. «Stamane il mais è tutto secco», lancia l’allarme il 10. «Ragazzi, spero che piova presto. Sono stanco di vedere il mio mais rovinarsi e morire», prega il 12. «Stanotte piove», si esalta il 13. «Il mais è bruciato e la soia sta appassendo», si dispera il 15 perché la pioggia attesa si è rivelata nulla di più che una spruzzata. «E’ peggio di quanto pensassi», è la resa del 21 luglio quando decide di cominciare la raccolta per salvare il salvabile.
I tweet di Michael Sims hanno avuto eco costante negli annunci della Casa Bianca e del Dipartimento dell’Agricoltura. Tutti eguali, tutti prova della sconfitta della super potenza che nulla può di fronte alla natura e ai suoi eventi. Nelle email cambia solo il nome della contea e dello stato per cui il presidente Barack Obama e il segretario all’agricoltura Tom Visak dichiarano lo stato di calamità naturale e consentono l’avvio delle procedure per evitare la catastrofe di centinaia di migliaia di agricoltori, delle loro famiglie e delle loro aziende. Mercoledì 1° agosto la situazione era questa: 1.297 delle 3.033 contee degli Stati Uniti erano già nella mappa del disastro da siccità.
I danni? A quelli diretti, crollo della produzione e rialzo dei prezzi a breve termine e dei future, si aggiungono quelli indiretti: nella catena alimentare, nella produzione di carne e di latte, nell’aumento dei costo della farina di grano, nell’approvvigionamento della materia prima per le fabbriche di etanolo. Poi, la siccità fa i suoi danni anche fuori dai confini degli Stati Uniti, visto che la produzione made in Usa di mais e soia va in tutto il mondo. Per adesso, la fotografia è parziale, perché non siamo ancora alla fase del raccolto. A parlare sono i prezzi nella grande Borsa di Chicago dove vengono trattate le materie prime: il mais è arrivato a costare più di 8 dollari a bushel e la soia oltre 16 dollari (il bushel è la misura utilizzata dagli agricoltori americani: un cilindro di metallo alto 20,32 centimetri e con un diametro di 46,99 centimetri). Ovvero 313 dollari per tonnellata il mais e 590 la soia. L’incremento in un anno è rispettivamente del 24 e del 34,4 per cento.
I prezzi di oggi non tengono ancora conto di che cosa riusciranno a raccogliere i farmer americani che solo con il mais rappresentano il 35 per cento della produzione mondiale. Il 40 per cento di ogni raccolto prende la via dell’estero, soprattutto dell’Asia dove il mais viene impiegato come mangime negli allevamenti di maiali e di polli. Le previsioni del Dipartimento dell’Agricoltura non lasciano troppe speranze che la situazione possa subire un’inversione di tendenza. Primo, perché continua a fare molto caldo nella Belt Corn (negli Usa, luglio è stato il mese più caldo dopo quello rovente del 1936), la fascia di stati dove ci sono milioni di ettari coltivati a mais. In secondo luogo, perché la siccità ha colpito quando le piante erano agli inizi della crescita, dai primi di giugno fino alla fine di luglio. In Ohio, Missouri, Iowa, Illinois, Indiana, il 45 per cento dei campi coltivati a mais daranno una produzione definita «scarsa o molto scarsa», mentre per la soia questo tipo di rating riguarda il 35 per cento delle coltivazioni. Eppure, solo tre mesi fa, le previsioni ufficiali annunciavano un raccolto record di 14,8 miliardi di bushel con una media di oltre 400 bushel per ettaro e i prezzi in discesa. Previsioni da buttare nel cestino e calcoli da rifare, a questo punto: si riusciranno a raccogliere al massimo 315 bushel per ettaro.
Ci saranno conseguenze economiche in tutto il mondo per questa ondata di siccità. E nessuno può escludere che ce ne potrebbero essere anche di carattere politico, visto che l’impennata dei prezzi degli alimenti base (farina, mais e soia) del 2007 è stata sicuramente uno dei detonatori delle proteste popolari nel nord Africa che hanno poi messo in moto quella che poi è stata battezzata la Primavera Araba. Secondo l’ufficio studi del Dipartimento all’Agricoltura, alla fine dell’autunno cominceranno a vedersi i risultati della siccità nei supermercati americani. Non aumenteranno soltanto i prodotti che hanno alla base il mais utilizzato per alimentare gli animali (quello cosiddetto dolce che arriva direttamente sulle tavole non ha subito l’impatto della siccità): dunque, saliranno i prezzi del latte, come della carne. Le popolari uova con il bacon costeranno di più ovunque. La previsione si fonda sui precedenti storici e indica che a un aumento del mais del 50 per cento corrisponde un aumento dell’indice dei prezzi che varia tra lo 0,5 e l’1 per cento.
Effetti più pesanti si sono invece già visti per gli allevatori di vacche e manzi visto che il 44 per cento del bestiame si trova proprio nelle aree più colpite dalla siccità. L’improvvisa scarsità di prodotto unita al rialzo dei prezzi ha fatto entrare in crisi molti allevatori che hanno preferito tra giugno e luglio mettere sul mercato i loro animali: secondo dati del Farmington Livestock Market, uno dei più grandi mercati di animali vivi degli Usa (è in Missouri), gli allevatori hanno venduto per una cifra intorno ai 900 dollari animali che solo all’inizio della primavera venivano ceduti a 1.500 dollari. Se nel brevissimo periodo si registra un calo del prezzo della carne, nel medio, invece, la siccità porterà a un aumento perché chi continua a mantenere gli animali spenderà molto di più per alimentarli.
Gli allevatori, oltre a chiedere sostegno, sono scesi in campo contro i produttori di etanolo. Hanno chiesto di ridurre la quota di mais destinato alla produzione di biocarburante per destinarlo al bestiame e calmierare in questo modo i prezzi. Un problema che è stato posto con forza da Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao, l’organizzazione che si occupa di cibo e agricoltura nell’ambito dell’Onu, il quale ha chiesto al governo di Washington di ridurre la quota obbligatoria di mais da destinare alla produzione di etanolo, dirottandolo nella catena alimentare.
Quali saranno gli effetti nel mondo? Scrive Shenggen Fan, il direttore dell’International Food Policy Research Institute di Washington: «I più poveri e vulnerabili paesi in via di sviluppo sono colpiti duramente dagli alti prezzi dei prodotti agricoli che servono alla alimentazione base». Che accadrà in Messico o in Egitto, paesi che importano rispettivamente il 26 e il 42 per cento del mais di cui hanno bisogno? E se si volge lo sguardo verso chi non appartiene agli stati più indigenti, i problemi sono già arrivati. Un esempio, gli allevatori cinesi che utilizzano mais e soia made in Usa per nutrire i loro animali sono passati a usare la farina. La quale è però aumentata del 50 per cento vista l’impennata della domanda. E’ un circolo vizioso quello della catena alimentare, che parte dalla Corn Belt nel cuore degli Stati Uniti e si propaga globalmente.
La Fao è in stato di allarme. L’indice dei prezzi mondiale che ha messo a punto e che serve a raccontare l’impatto globale dell’andamento dei prezzi agricoli ha segnato in luglio un incremento del 6 per cento rispetto al mese precedente. Gli esperti Fao non temono solo le ripercussioni della siccità americana: segnalano come potenziale pericolo la scarsità del raccolto di grano in Russia (meno 19 per cento), il paese che già nel 2010 bloccò le esportazioni perché il prodotto non era sufficiente a soddisfare neanche la domanda interna. Altre situazioni critiche sono segnalate in Brasile a causa di piogge premature che possono rovinare i raccolti e un monsone più cattivo del solito in Asia
L’Espresso – 24 agosto 2012