Non si ferma, anzi. La spesa per far funzionare la macchina dell’amministrazione pubblica è stato l’obiettivo dichiarato di tutte le manovre, estive e autunnali, che hanno scandito l’agenda degli ultimi governi; politici e tecnici si sono scaldati nel dibattito eterno sui tagli «lineari» o «selettivi», la manovra estiva del Governo Monti ha promesso un cambio di passo nel nome della spending review, così intitolata proprio per ribadire il passaggio dalla vecchia era delle sforbiciate “grezze” al nuovo metodo “scientifico”. Di tanto lavorio, però, al momento nei bilanci non c’è traccia. Partendo dal centro, i numeri dell’amministrazione statale si leggono nel bilancio riclassificato e diffuso con tabelle elaborabili nei giorni scorsi dalla Ragioneria generale dello Stato.
Chi si avventura incontra qui la prima sorpresa: i «consumi intermedi», cioè proprio le spese di funzionamento come affitti, utenze, computer, carta e così via crescono del 35,1% fra 2012 e 2013, passando da 7,8 a 10,5 miliardi di euro. Un bel salto. Come mai?
Lo sblocca-debiti, che ha liberato risorse per smaltire una fetta dei pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione, non c’entra nulla, perché per lo Stato il documento di riferimento è il previsionale 2013 ed è stato scritto prima della manovra straordinaria per i fornitori. Una parte importante di questo aumento, spiegano i documenti ufficiali, deriva da «operazioni di incorporazione e razionalizzazione di alcuni enti», come i Monopoli che sono stati incorporati nelle Dogane gonfiando quindi le spese di funzionamento dell’Agenzia. Quel che non si spiega per questa via, si illumina quando si pensa all’andamento a singhiozzo che caratterizza la vita dell’amministrazione: i tagli, lineari o meno, hanno spesso ridotto le capacità di spesa per un periodo, fermando i pagamenti che poi andavano recuperati risbloccando le risorse.
Le fonti della spesa e la sua struttura, però, paiono aver resistito a ogni attacco. Negli enti territoriali, i numeri più aggiornati sono quelli dei pagamenti, che permettono di misurare in tempo reale le uscite effettive registrate in ogni amministrazione. Il dato può soffrire di qualche variabile passeggera, perché un ente può aver accelerato i pagamenti rispetto all’anno scorso per una serie di ragioni, ma anche in questo caso lo sblocca-debiti non c’entra: i pagamenti liberati dal decreto stanno muovendo in queste settimane i primi passi, mentre nelle tabelle in pagina si fa il confronto fra le spese effettuate nel primo semestre 2013 con quelle dello stesso periodo 2012, concentrandosi ancora una volta sulle sole spese correnti di funzionamento, depurate da quelle per i servizi veri e propri rivolti ai cittadini.
Per farla semplice, il dato conta la spesa del Comune o della Regione per gli affitti, la manutenzione degli immobili e le bollette, non quelle per muovere i pullman o raccogliere i rifiuti. Bene, anzi male. Queste voci nelle Regioni sono cresciute nei primi sei mesi del 2013 del 18,6%, nei Comuni (dove il valore assoluto è ovviamente maggiore perché i municipi sono 8.092 e hanno un ventaglio di attività assai più articolato) sono cresciute del 3,9% e l’unico segno meno si registra nelle Province con un calo de17,5 percento.
Se ne deve dedurre, allora, che l’unica arma per frenare i costi gestionali di un’amministrazione è il bombardamento normativo, che cambia i confini dell’ente, ne minaccia l’abolizione, lo svuota di competenze e in pratica ne paralizza l’attività in attesa di un quadro più chiaro? Più che arrivare a conclusioni provocatorie, può essere utile notare l’estrema varietà dei colori nel quadro. Certo, i dati sono influenzati dalle variabili territoriali, e i confronti vanno condotti fra enti simili anche nelle dimensioni. Le voci di spesa considerate, però, sono sempre le stesse, e comprendono in sintesi affitti, manutenzione, noleggi, utenze e materiali di consumo.
Con queste premesse, diventa “curioso” il fatto che il funzionamento di Puglia e Veneto sia costato nei primi sei mesi dell’anno meno di 6 euro a ogni residente, Lombardia, Liguria e Toscana si accontentano di 7-8 euro ad abitante, mentre il Lazio “costa” più di 40 euro pro capite e la Sicilia supera i 45, fino ai dati record di Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta che però scontano le piccole dimensioni e la ricchezza di funzioni (e risorse) assicurata dai loro statuti. Più variabile il dato dei Comuni, dove il risultato dipende anche dalla quantità e dal livello dei servizi erogati direttamente, perché per svolgere più attività servono anche più immobili, più telefoni, più computer e così via.
Il Sole 24 Ore – 5 agosto 2013