Il Sole 24 Ore. Grava sull’ospedale l’onere di provare di avere acquisito un assenso consapevole La struttura sanitaria e il medico hanno il dovere di informare il paziente circa la natura dell’intervento che intendono proporre ed eseguire, i suoi rischi, la portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni che si potrebbero verificare. Infatti, perché l’intervento praticato sul paziente si possa ritenere lecito e svolto nel suo pieno e consapevole interesse occorre acquisire il suo “consenso informato”: l’obbligo del consenso informato, in altre parole, costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
Lo ha stabilito, da ultimo, la Corte di cassazione nell’ordinanza 18283 depositata lo scorso 25 giugno nel caso proposto da una paziente di un medico oculista per le conseguenze di una terapia farmacologica: questa aveva avuto effetti sulle funzioni renali e la paziente lamentava di non essere stata preventivamente informata dei possibili rischi.
L’obbligo di acquisire il consenso informato dal paziente diventa ancora più cruciale nel momento in cui comenell’epoca attuale – si propongono ai pazienti trattamenti sanitari non ancora consolidati. I danni e le responsabilità La Cassazione rammenta che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente circa i trattamenti sanitari che intende praticargli può causare due diversi tipi di danni: 1 un danno alla salute, da risarcire quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; 2 e un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale (e, in quest’ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.
Il tema dell’obbligo per il medico di ottenere, preventivamente all’esecuzione del trattamento sanitario, un valido e pieno consenso da parte del paziente è stato anche affrontato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 438/2008, lo ha definito come espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico che si configura quale vero e proprio diritto della persona.
Tra le varie obbligazioni spettanti al medico e alla struttura sanitaria, infatti, vi è anche quella relativa all’informazione finalizzata all’acquisizione del consenso informato da parte del paziente a sottoporsi al trattamento proposto dal medico e la violazione di tale obbligazione comporta responsabilità contrattuale in capo alla struttura sanitaria. Il medico ne risponderà per responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda che l’operatore abbia stipulato col paziente un contratto di servizi sanitari, o che operi strutturato nell’ospedale. Di conseguenza, in caso di contestazione da parte del paziente e quindi di sua allegazione dell’inadempimento all’obbligo informativo, graverà sull’ospedale (o sul medico che risponde a titolo di responsabilità contrattuale) l’onere di dimostrare di averlo validamente e compiutamente informato e di avere il paziente espresso un consenso consapevole.
Se l’omissione dell’acquisizione del consenso informato risulta provata, scatta per i sanitari e per le aziende l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale legato alla lesione di un bene assoluto e protetto dalla legge, e che rientra nella sfera del danno morale soggettivo, la cui liquidazione è normalmente rimessa all’apprezzamento equitativo del magistrato. Le norme e la giurisprudenza L’istituto del consenso informato è oggi regolato dalla legge 219/2017, che ha recepito gran parte dell’impianto elaborato dalla giurisprudenza negli anni e che, all’articolo 1, prevede che ogni persona “ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei Scatta la responsabilità anche se il trattamento non risulta lesivo ma comunque non migliorativo comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”. Il paziente, inoltre, “può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.
Una volta inquadrato l’istituto dell’obbligo posto a carico del medico, la magistratura ha ritenuto opportuno precisare (prima che lo facesse il legislatore) che per essere validamente espresso il consenso deve essere personale, specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto, né valido ed esaustivo quello contenuto in un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente lo abbia consapevolmente prestato.
La responsabilità sussiste persino nell’ipotesi di esito inalterante del trattamento, vale a dire quando non sia conseguito alcun miglioramento e quindi sia emersa la sostanziale inutilità dello stesso, con tutte le conseguenze di carattere fisico (sofferenze, rischi e spese sostenute) e psicologico (timore per la persistenza della malattia e per la prospettiva di subire un nuovo intervento).